L'enigma del Girasole, lettura critica di un'opera di architettura di Luigi Moretti, Gangemi, Roma 2012
The enigma of the 'Sunflower', critical reading of an architectural masterpiece by Luigi Moretti, Gangemi, Rome 2012Autore / Author: Ruggero Lenci
Tra le opere di Luigi Moretti (1) la palazzina nota come la Casa del Girasole (2) è certamente la più ricca di segni linguistici che diventano altrettante fonti di interpretazione non solo nella loro singolarità ma anche nei significati complessi che da essi è possibile estrarre. Obbiettivo di questa lettura critica è individuare quel sedimentato di elementi architettonici, prestazionali e comunicativi, per mezzo dei quali Moretti ha dotato questo edificio di significati specifici e complessi.
Le piante, le sezioni, i prospetti e alcuni degli schizzi interpretativi che illustrano il presente testo sono stati eseguiti da chi scrive (3) con lo scopo di documentare, studiare e interpretare questa straordinaria realizzazione. La pianta delle carpenterie (p. 45) è di Luigi Moretti, è inedita ed è stata da me solo restaurata.
Uno sguardo allo stato dell’arte sul tema della palazzina evidenzia che le più interessanti ricerche progettuali svolte in Italia (4) ne hanno inscritto nel volume molteplici segni in misura inversamente proporzionale alla sua esiguità dimensionale. Di conseguenza questa unità volumetrica si è prestata a divenire una tela sulla quale trascrivere in modo complesso e critico importanti tracce delle stratificazioni culturali contemporanee, dell’area geografica, della città, del quartiere in cui sorge. Nell’impossibilità di generare la rue corridor tipica delle altre capitali europee, la palazzina si è fatta carico sin da subito del peso di questo peccato originale, che è stato presto risarcito (troppe volte in modo inopportuno e/o eccessivo) divenendo il reagente ovvero la tavolozza sulla quale inverare, come fosse una cornucopia, quei segni storici, fisici e metafisici che affollano le menti dei loro autori, almeno dalla metà ‘900 notoriamente invase dalla presenza del passato: si pensi in questo senso all’influenza dell’afflato culturale della Metafisica di De Chirico e Savinio.
La compressione dimensionale di un intero isolato all’interno della palazzina – realtà architettonica e urbana tutta italiana, così diversa rispetto ai volumi degli impianti urbani di città quali Parigi, Barcellona e di altre capitali europee – nell’aver potenziato questioni quali l’esposizione degli ambienti interni sui quattro lati del volume anziché su due, ha fortemente penalizzato l’unitarietà dei fronti urbani frammentando la città. Ciò ha privilegiato l’idea della canonica rispetto a quella del monastero, producendo pertanto la dimensione disgregata del vassallaggio urbano a discapito della città unitaria. Ecco perché alcuni architetti hanno cercato di recuperare nella palazzina una dimensione più vasta di quella del mero volume che la delimita, ergendola a baluardo, ad argine resistente a ulteriori possibili discioglimenti di quei significati urbani ormai già troppo parcellizzati.
Cos’è la palazzina infatti se non quella mediana dimensionale che nel ‘900 in Italia ha voluto accontentare tutti, in primo luogo la politica? Leggasi i piani regolatori e chi si regola da solo, riuscendo in alcuni casi a sfumare abilmente la normativa nel brigantaggio? Quella dimensione edilizia che ha prodotto sia le egregie realizzazioni qui trattate, sia le sterminate aree periurbane, talvolta costruite con interventi anche molto più minuti della palazzina stessa e in molti casi responsabili della rovina ambientale di mezza penisola e delle isole? Ma la mancata azione delle politiche urbane a sostegno dell’effetto città è un’altra storia, di grande interesse e meritevole di specifica trattazione. Qui si dirà solo che per le città e i suoi abitanti si è trattato di un’occasione perduta, perché dagli anni ’60 in avanti è stata ingenuamente quanto maldestramente affidata quasi esclusivamente ai PEEP.
Se anche dalle maglie più strette del razionalismo italiano tutt’oggi emerge qualche elemento significante, talvolta rimasto incastrato come in una rete da pesca – si pensi all’imponente torre romana Eurosky dello studio Purini-Thermes, degna di una specifica simile trattazione – si può immaginare quanto materiale iconico possa essere presente in opere libere dal vincolo cartesiano-razionalista, come sono appunto le architetture di Moretti, autore per il quale non era sufficiente dissacrare la razionalità screziandola con contrappunti, rendendosi invece necessario istituire per ogni nuova occasione uno specifico pentagramma, sempre diverso e aperto alla mutevolezza delle stagioni. Ciò nella convinzione che solo il processo delle mutazioni di tutta una vita sia in grado di conferire significato unitario, profondamente e maestosamente coraggioso, alla ricerca operativa sull’architettura.
Prima di addentrarsi negli esercizi di ermeneutica sulla Casa del Girasole – che può essere riletta più e più volte, come avviene in una tela di Leonardo da Vinci, in un’architettura di Giulio Romano, in una lirica di Giacomo Leopardi – è utile citare alcuni brani incisivi contenuti nella recente pubblicazione sull’opera di Luigi Moretti (a cura di C. Bozzoni, D. Fonti, A. Muntoni, per i tipi della Gangemi, Roma 2011), in particolare quelli che ne illuminano gli aspetti genetici.
Franco Purini intravede nell’opera di Moretti un’energia vitale positiva, ricca di metafisica e libera da setacci, fortemente tesa a cambiare la realtà, non quindi limitata alla sua rappresentazione. “Nella Casa del Girasole… si intravedono… temi piranesiani, immersi in una tonalità neo-metafisica che esalta la sapiente trama compositiva dell’opera. L’affollarsi dei temi spaziali nel grande taglio centrale, con la stratificazione in profondità dei piani e la compressione delle visuali, si contrappone con controllata violenza a un involucro che tende all’astrazione… ‘formalismo concettuale’ o, se si vuole,… ‘concettualismo formale’… Autodeterminata, programmaticamente eccezionale e per questo irripetibile, ogni espressione architettonica
formulata da Luigi Moretti si sottrae a quella ‘ansietà metodologica’ e a quella ‘volontà’ di istituzionalizzare generi architettonici che avrà molto spazio nella ricerca degli architetti razionalisti, segnatamente in quella di Adalberto Libera… Essa vuole ‘vincere’, non solo risolvendo un problema ma dando una soluzione la quale, a dispetto del formalismo e del concettualismo che potrebbe renderla poco comprensibile, sia sentita da tutti come qualcosa che è nata per suscitare felicità. Paragonabile in questo a quella del suo coetaneo Oscar Niemeyer, quella di Luigi Moretti è un’architettura che intende ‘cambiare la realtà’ non limitandosi semplicemente a ‘rappresentarla’… vuole cambiarla introducendo in essa un’energia vitale che si fa promessa di un futuro aperto e molteplice.” (5)
A proposito del “setaccio razionalista” Claudia Conforti arriva ad apostrofare il dettato tipologico come meschino. “E’ nota la feroce insofferenza di Moretti per le gabbie tipologiche di ogni genere, che egli affronta come una sfida capace di infiammare l’immaginazione più anticonvenzionale e travolgente. Lo dimostrano ampiamente il complesso polifunzionale di corso Italia a Milano (1949-1956), la palazzina del ‘Girasole’ in viale Bruno Buozzi a Roma (1947-1950) o le terme di Bonifacio VIII di Fiuggi (1963-1969). Capolavori assoluti e senza tempo, la cui autentica ragione morfologica sembra scaturire proprio dall’irridente dimostrazione della meschinità del dettato tipologico; una dimostrazione che si pone in continuità con l’attitudine creativa coltivata dall’architetto fin dagli esordi progettuali.” (6)
Alessandra Muntoni incalza su questo aspetto, ergendo, direi quasi paradossalmente, il “miglior nemico” di Bruno Zevi (7), a campione sul quale esercitarsi proficuamente in esercizi di ermeneutica. Nell’opera di Moretti “… finito e infinito si toccano, … scienza e arte si confrontano, … molti architetti… avendo eletto la teoria come base primaria del progetto, hanno attirato come sirene l’attenzione della generazione formatasi negli anni Settanta, ma hanno poi lasciato terra bruciata. Luigi Moretti, invece, si offre ad una continua rilettura…” Circa la Casa del Girasole la Muntoni parla di “… differenziazione tra piano, anzi ‘pelle’, e ‘massa’, da cui deriva che l’intenzione spaziale di Moretti viene affidata alla sequenza di ‘piani’, o di ‘superfici’, via via sprigionati dal cuore della casa.” E in seguito cita Peter Eisenman e il suo poco compreso uso della parola ‘undecidable’: “Attirando l’attenzione sul profilo architettonico, Moretti ne suggerisce il ruolo di generatore di relazioni indecidibili e chiama in campo lo spazio quale oggetto per una lettura ravvicinata.” (8)
Paolo Portoghesi parla di una profondità architettonica che diventa carnale. “La Casa del Girasole conserva dopo sessanta anni il suo fascino straordinario; è lì che Moretti mette a punto la sua tecnica della ‘fessura’: il blocco edilizio viene scavato all’interno e questo interno non si separa dall’esterno ma è un momento dello spazio esterno sviluppato in profondità. C’è qualcosa nella facciata che fa pensare alla riflessione fatta sia da Moretti, sia da Argan, più o meno nello stesso periodo, sulla facciata rinascimentale come rappresentazione della profondità prospettica. Questa profondità prospettica tutta ideale e lineare nell’architettura rinascimentale qui diventa carnale attraverso questa ferita che viene interpretata scenograficamente.” (9)
Daniela Fonti antepone questa profondità carnale al taglio della tela dell’amico di Moretti Lucio Fontana. Caso più unico che raro in architettura, che sempre segue e quasi mai anticipa le altre arti, più immediate ed eteree. “… un imperioso taglio ‘d’ombra’, nella luce assoluta, barocco forse, ma in anticipo… sulle prime eversive prove dello spazialista Fontana.” (10) In realtà la Fonti si riferisce alla casa-albergo in via Corridoni a Milano, ma l’osservazione è ancor più sentita se abbinata alla Casa del Girasole.
Vincenzo Fontana sottolinea i significati misteriosi di questa profonda fenditura: “… nella palazzina la frattura percorre tutta la facciata enfatizzando l’atrio d’ingresso con un taglio profondo fino al cuore dell’edificio… Le due semi-facciate sembrano ante scorrevoli che si aprono a scoprire il cuore dell’interno della palazzina romana …”. D’altra parte è lo stesso Moretti che, nelle sue parole, carica questo profondo taglio di significativi valori spaziali: “La fenditura centrale seziona al vivo l’intiero edificio e, con una prospettiva tagliente e istantanea, rivela e penetra integralmente la profondità degli spazi che entrano nella composizione. Il grande atrio aperto sotto la fenditura e la casa determina e sottolinea gli spazi in latitudine e dichiara il peso, la densità, gli sforzi e la figura dell’intera macchina costruttiva. Questi due temi della fenditura e dell’atrio esprimono anche in termini di chiaroscuro il loro penetrare gli spazi, con ombre intense e misteriose… Il basamento a rustico in contrappunto al rivestimento in mosaico di vetro, bianco e luminoso, dei piani superiori a sbalzo. La partizione palladiana in basamento e colonnato sembra qui trasposta in superfici grezze e in superfici splendenti di mosaico...” (11)
Non è possibile separare la poetica morettiana dalla lettura da lui operata sull’architettura rinascimentale e barocca i cui significati, una volta acquisiti, possono essere trasferiti in qualsiasi architettura anche contemporanea. “Michelangelo aveva ben visto e pensato sulle antiche rovine dove tra le colonne si incastravano le abitazioni delle piccole genti e dove scorrevano nel tempo i gesti quotidiani e minuti. Queste immagini, questo pensiero Michelangelo lo trasferì nella figura dei palazzi Capitolini: tra gli spazi dei grandi pilastri templari inserisce altri mondi, mondi di forme quotidiane per la vita dell’uomo.” E parlando della facciata della basilica di San Pietro del Maderno “Di Michelangelo rimane lo spirito dei giganti che si alzano sino al frontone e parlano tra loro il linguaggio dei giganti” (12). Si comprende, a seguito di queste eloquenti citazioni di Moretti, come la fessura della Casa del Girasole rappresenti un segno di ordine gigante, una colonna di vuoto definito da pieni.
Valentina Ricciuti nel chiamare in campo il Bernini di piazza Navona, nel parlare di simultaneità progettuale, nel sottolineare i valori del bianco, del nero sottrattivo a cui è intimamente legato il concetto di cavità, perviene a intuizioni incisive sulla casa del Girasole qui condivise e ulteriormente sviluppate. “L’elaborazione del progetto determina un differenziale temporale, un istante in cui si concentrano elementi temporalmente disparati, cui l’unità dell’opera conferisce simultaneità… Privilegiando l’idea di interstizio, di attesa, di soglia… Moretti scioglie nel bianco le sottili ambiguità della sua poetica… attraversata da grandi segreti… Ed è forse proprio al nero ottenuto senza farvi ricorso, che compare soltanto sotto forma di cavità negativa sottratta alla silenziosa eloquenza del bianco, che si deve l’oscillazione della poetica morettina in un limbo, in un territorio intermedio per la cui conquista si avvicendano, alternativamente o contemporaneamente, l’architettura, la scultura e la pittura…Tagliato in blocchi di grande dimensione e consistenza volumetrica, diversi per forma e trattamento superficiale…, il travertino figurativo che è alla base della palazzina di viale Bruno Buozzi declina la materia al pari del gruppo antropomorfo beniniano realizzato per la fontana di piazza Navona trecento anni prima…” (13)
Tommaso Magnifico, nel descrivere le morfologie dell’edificio, chiama in campo l’evoluzione biologica e culturale, nonché l’esigenza di operare un continuo riposizionamento dei codici di lettura dell’opera, come andava fatto, dico io, con i rotori della macchina crittografica tedesca Enigma, solo di qualche anno più recente. “Sono esse, per così dire, forme naturali, che in quanto tali appartengono al nostro codice culturale e biologico. Sono architetture che si apprendono per ‘incantamento’ nell’insieme e nell’immediato, un’immagine unica e irripetibile, di cui avvertiamo il segreto, che poi man mano, penetrandovi, ci viene svelato direi con l’arte di un grande narratore. Architetture statiche apparentemente e realmente dinamiche; classiche apparentemente, realmente affatto tali. Sono opere che ci impegnano continuamente con i nostri sensi, con i continui cambiamenti percettivi, cinematicamente e temporalmente con il nostro corpo. Non basta un solo codice di lettura, ve n’è sempre un altro nuovo da scoprire e apprendere.” (14)
Ma già per lo stesso Moretti l’architettura registra fortemente l’evoluzione culturale. “… nell’architettura, più che in altre arti, la volontà di essere oltre il naturale e l’utile, è una qualità fondamentale distintiva… del costruire. L’architettura nasce come atto terribile di esistenza e permane perennemente ed è giustificata solo in questo senso.” (15)
Quando Renato Bonelli riferendosi a Moretti nel 1975 parla di “… quella smania di avventure figurative” si pone su un registro critico – diremmo oggi, ma non certo ieri – in controtendenza. Basti guardare le celebrazioni inaugurali del MAXXI a Roma che, con Gino De Dominicis, hanno visto l’autore della Casa del Girasole protagonista assoluto e che hanno avuto un altro punto apicale nella monumentale pubblicazione del 2011 dalla quale sono tratti molti dei testi qui citati.
Invece, come ricorda Benedetto Todaro, “… Giovanni Klaus Koenig … discorrendo d’altro si riferiva a Moretti, in un rapido passaggio, definendolo icasticamente ‘il più bravo di tutti’.” (16)
A titolo di esempio di questa “smania di avventure figurative”, della volontà “di essere il più bravo di tutti”, della capacità di far fluire le forme del passato nell’architettura del presente, si confronti il drappeggio dell’angelo portante la colonna della flagellazione di Antonio Raggi a Ponte S. Angelo a Roma, con i volumi erogati a sbalzo dalla superficie della palazzina della cooperativa Astrea in via Jenner (pag. 80-81). Una screziatura nella nitida gabbia razionalista, in più intaccata sulla destra da un lacerto zoomorfo. In questo edificio tale gabbia è maggiormente visibile che nella Casa del Girasole, ma subito viene sopraffatta da un’impetuosa interpretazione moderna del barocco che ne invade, con tono vincente, il campo centrale.
L’ubicazione del Girasole in un’area di compluvio su viale Bruno Buozzi ha certamente determinato la scelta di dare vita a un basamento roccioso su due livelli, con caratteri figurativi che alludono, come avviene in un canyon, a millenarie erosioni provocate dalle acque. Solo al di sopra di tale attività erosiva, che mette a nudo la radice petrosa dell’architettura disvelandone nella firmitas la sua prima vera essenza naturale e nell’emersione dalle acque la seconda, può aver luogo un’architettura templare, che qui diventa il bianco e vitreo monolito interrotto centralmente.
Anche Wright lo aveva capito, anche la sua casa Kaufmann a Bear Run richiama il Bernini della Fontana dei Quattro Fiumi. Così come queste architetture richiamano il Salvi della Fontana di Trevi (alla quale peraltro lo stesso Bernini, che mai perse memoria dell’immagine dei flutti del golfo di Napoli, sua città natale nella quale visse i primi sei anni di vita, aveva lavorato quasi 100 anni prima), e si pensi anche al basamento di Palazzo Ludovisi, poi Montecitorio, al quale manca solo l’odore del mare. Il carattere di un’architettura nascente dalla roccia e bagnata dalle acque viene pertanto pienamente assimilato da Moretti che nella contemporaneità
lo sviluppa usando materiali economicamente accessibili – lastre, non blocchi – cercando però di ottenere il desiderato effetto di massività lapidea, attualizzato dal tema dell’astrazione figurativa affiorante nei tagli romboidali di alcune lastre sapientemente ubicate. Si immagini cosa egli avrebbe potuto realizzare al tempo della Roma dei papi, quando architetti e scultori, talvolta la stessa persona, lavoravano fianco a fianco per dar vita a edifici che dovevano travalicare il mero dato funzionale per trasformarsi in altrettante pietre miliari narranti l’evoluzione dell’uomo e dell’architettura nella città. Ed è proprio questa apertura inclusivista verso atemporali epifanie multidisciplinari, questo andare oltre l’architettura, che costituisce il carattere dominante – in una parola il fissativo – dell’incessante ricerca progettuale morettiana.
Si osservi ora l’immagine nella quale la Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini con il soprastante obelisco egizio è raffigurata in sovrapposizione al prospetto principale della Casa del Girasole (pag. 42-43). Il gruppo scultoreo berniniano, che mirabilmente sostiene il monolito in granito su un vuoto generato da quattro ampi varchi scavati nella roccia, ha certamente colpito l’immaginazione di Luigi Moretti. Si confronti l’estrema e insuperata prodezza strutturale prima ancora che artistica di questa realizzazione, con lo spoglio piedistallo dell’obelisco del Foro Mussolini. Si mediti sulla perizia tecnica necessaria per posizionare un obelisco su una roccia che sotto è cava ed è costellata da fragilissime protuberanze. Si confrontino ora queste antiche capacità con le ingenti opere provvisionali – costituite principalmente dalla lunga rampa curvilinea in cls. armato – che si sono rese necessarie per posizionare al Foro Mussolini nel 1932 l’obelisco del duce. Si pensi, infine, che anche Moretti a seguito della progettazione e realizzazione di quel Foro ha certamente elaborato nella sua mente questi ed altri confronti. In effetti il progresso della tecnica ha prodotto ponti e coperture di grande luce, grattacieli e lunghi tunnel, ma non è stata una fedele alleata del binomio architettura-scultura nelle città, per le città, tema sul quale dal Barocco in poi si sono registrati solo passi indietro.
Assodato che la semplificazione ideativa ed esecutiva nel composto arte-architettura è negli ultimi secoli aumentata in misura direttamente proporzionale al progresso scientifico e tecnologico, non restava per Moretti che offrire un suo contributo per, se non proprio invertire, almeno attenuare questa paradossale tendenza. Un avvertimento il suo, un urlo per molti anni rimasto inascoltato, inciso nelle superfici e nei volumi della Casa del Girasole e di altre sue opere come un suono nel vinile. Secondo questo registro interpretativo – in seguito se ne useranno altri, non in conflitto bensì in continuità con esso – la fessura corrisponde all’obelisco, il basamento roccioso al gruppo scultoreo dei Quattro Fiumi, l’atrio ai varchi che ne svuotano la massa lapidea, il prospetto templare a un’architettura sacra, se non proprio alla stessa S. Agnese in Agone. E’ forse un errore, un sacrilegio, inscrivere nelle pietre dell’architettura contemporanea, in senso più o meno astratto e metaforico, brani di città amatissimi, poemi o visioni antropologiche, storie dei migliori nemici, in questo caso del Bernini e del Borromini? Tutto ciò sviluppa un senso di einfuhlung, dotando gli edifici e la città di storie che a volte restano anche per molti secoli teoremi insoluti, (in matematica si pensi, ad esempio, al teorema di Fermat, da questi formulato intorno al 1660 e, a quanto pare, risolto da Andrew Wiles nel 1993-94), nei quali piccoli indizi iniettano nelle pieghe – nelle rughe – dell’architettura opportune dosi di significato. La città diventa allora un libro permanente di storia da condividere, da sentire insieme. Si pensi a titolo di esempio alla colonna Traiana sulla quale nel 113 d.C. furono scolpite le sequenze filmiche delle guerre di Dacia. Lo spazio antropico registra eventi significativi, costruisce metafore che si basano su codici reali e astratti: a Roma si pensi alla teoria di pianeti inserita nell’auditorium di Renzo Piano, alle vele delle Tre Caravelle di Cristoforo Colombo inserite nella chiesa di Richard Meier, alla trasposizione della statua della Minerva di Arturo Martini – posta al centro della piacentiniana città universitaria della Sapienza di Roma – nella già citata Torre Eurosky facendola diventare un’architettura parlante, una saggia protettrice della città e delle sue arti dalla porta verso il mare. (17) L’intendere la storia come un percorso in continuo divenire privo di bruschi salti ontologici, ovvero come un’ontogenesi che ricapitola la filogenesi18, esprime appieno gli intendimenti dei maggiori architetti e artisti del barocco i quali sentono come impellente l’esigenza di inscrivere nei muri delle città quelle questioni fondamentali della conoscenza ormai riconsiderate sotto altre ottiche – segnatamente quelle introdotte da Copernico, Keplero e Galilei, quindi in via di sviluppo da parte soprattutto di Newton e Leibniz – rendendo in tal modo evidente la condizione relativa della stessa conoscenza. Sotto quest’ondata di crisi, che mette in atto il meccanismo del ri-provare – e nel farlo compie quell’azzeramento necessario a dire cose nuove e diverse – i muri rinascimentali e manieristi si piegano, le statue si torcono, gli spazi circolari si trasformano in ellittici rivelando nuovi valori meno apodittici e più vicini alla gente. Se da un lato scompaiono le antiche certezze di un universo geocentrico e di un clero onnisciente, dall’altro, il metodo scientifico tende a occupare parte di quegli abissi dell’inconscio collettivo rimasti ormai vuoti, venendo di fatto in soccorso a un’umanità disorientata. Il contraccolpo è così forte che i suoi effetti sono ancor oggi in atto, non solo in Moretti, ma penetrano e agiscono nel terzo millennio.
Il barocco non va a celebrare condizioni di stasi e certezza – come potrebbe ormai farlo? – ma inizia ad occuparsi di quei momenti di passaggio, di quelle situazioni di tensione ponendo l’attenzione sulle tracce del fuggevole attimo di un’azione in corso, non uno qualsiasi ma uno particolarmente dinamico spesso d’inizio o di fine dell’azione stessa. Pertanto, architettura e arte intercettano zone di sintonia diverse rispetto a quelle dei periodi precedenti, e ciò avviene anche in Moretti che apprende pienamente la lezione del barocco e, subito dopo, tale ricapitolazione filogenetica avviene anche nel decostruttivismo. Ed è proprio grazie ad alcune opere, tra cui nella contemporaneità va citata la Casa del Girasole, che l’architettura si evolve in un presente continuo sempre in divenire, e lo fa con una comunicazione universale basata su un discorso articolato. Paolo Portoghesi, circa il discorso articolato del barocco, scrive che esso ha “… più livelli di accessibilità, in modo da conservare significato e pregnanza sia per l’uomo di cultura che per il più umile osservatore… Borromini… aspira a una identificazione di tradizione colta e tradizione popolare… La vita del cantiere è per lui il momento in cui il processo di progettazione si compie, in cui il fare diventa operazione collettiva, serrato colloquio informato a una finalità comune. Questo clima influenza profondamente l’opera anche nelle sue qualità comunicative perché la sua configurazione è frutto dell’incontro tra il magistero dell’operaio e la volontà rivoluzionaria dell’architetto.” (19) Questa qualità intrinseca del barocco deriva dalla straordinaria capacità – fortemente alimentata dall’esigenza controriformista di rendere la Chiesa cattolica più affascinante per la gente comune – di coordinare in un unico cantiere quella fioritura di maestri d’arte che discendono dal rinascimento mediceo. E’ qui fortemente presente il tema collaborativo delle arti, che produce continue e audacissime sperimentazioni: “Bernini non è mai fermo su una posizione ben definita (anche se raggiunta dopo un lungo cammino): questo avviene nel campo delle sue teorie ma anche e soprattutto nel campo della prassi, perché Bernini riesce a cancellare i confini tra le arti diverse.” (20)
Il disporre le parti architettoniche e artistiche non come entità separate ma in stretto rapporto tra loro, modalità sulla quale si fonderà la Gestaltpsicologie, è un metodo compositivo che pertanto Moretti deriva in primo luogo dal barocco e che, lì dove può, tende a utilizzare per produrre esperienze percettive dinamiche nella città contemporanea: a scala urbana, uno per tutti, si pensi a Roma al quartiere abitativo INCIS di Decima. E l’architettura è tale se riesce, principalmente, ad attivare un forte rapporto con la città nella quale è inserita. Ancora con Portoghesi sul Barocco: “... spazio, inteso come luogo della esperienza umana e insieme come qualcosa di denso, di corporeo,... proiezione della presenza umana, dalla quale vuole trarre un senso di pulsante vitalità; e poiché lo spazio interno e lo spazio esterno, che è a sua volta lo spazio interno della città, sono entrambi carichi di questa vitalità, la loro connessione attraverso facciate ed aperture diventa il nodo cruciale della architettura. Finestre e pareti poste tra i due campi si inflettono a rappresentare la osmosi e la confluenza tra i due momenti dello spazio cittadino.” (21)Ma il dato fondamentale sul quale vale la pena soffermarsi è che il barocco, per una serie di ragioni – alcune delle quali su esposte – esprime in modo mirabile l’idea di un’ontogenesi che ricapitola la filogenesi: la storia della vita che, scaturendo dall’acqua, passa al regno vegetale, a quello animale e arriva all’essere umano pensante, consentendo quindi l’evoluzione della cultura e, con essa, dell’architettura. Una possente narrazione artistica che descrive con vigore e metodo le origini della vita e che, senza tralasciare nulla di essenziale, funge da fondamento etico per l’architettura e per la polis.
In questo senso il Girasole è da intendersi come episodio chiave della cometa del barocco che transita, ricca di interferenze, nell’architettura contemporanea. Ovvero come anello di congiunzione tra passato e futuro, rivelando nel presente la forza di quelle estreme tensioni atomiche della materia che ormai – con due città nipponiche liquefatte – non possono più essere trascurate dall’architettura. Tensioni che ora non si limitano a deformarne la massa, ma che la rendono discontinua lacerandone i volumi, così da anticipare le emergenti fratture e le articolate sperimentazioni morfogenetiche del decostruttivismo. I precedenti temi di un universo geocentrico che diventa eliocentrico e di un clero onnisciente vengono ora sostituiti dalla ricerca di un assetto stabile dei territori, se non dallo studio delle placche terrestri, nel quale l’ancora poco credibile promessa di una globalità sostenibile riesce solo in parte ad occupare l’orrido di quegli abissi incastonati negli inconsci individuali (Freud) e collettivi (Jung) ormai scoperti dalla scienza, perché, in realtà, tale promessa stenta nell’arduo compito di riorientare l’umanità. Pochi si sono fatti carico nell’architettura contemporanea di questo compito immane (prima e dopo le due guerre): sicuramente Frank Lloyd Wright, poi Le Corbusier e, in Italia in alcune fortunate occasioni, Moretti. (22)
Oltre a quanto appena detto, altre ragioni più specifiche e operative che motivano l'interesse della critica architettonica internazionale per la Casa del Girasole vanno ricercate nella genesi del suo elaborato sviluppo planimetrico. Vi é in Luigi Moretti un rifiuto per la tipologia a corte, tanto che è proprio da questo rifiuto che nasce la fessura che ne interrompe il prospetto principale su viale Bruno Buozzi. Tale faglia verticale va anche letta come l’evidenziazione che l’anello del corpo di fabbrica presenta una carenza che ne previene la chiusura, proprio finalizzata a non generare una corte interna. L'edificio è stato quindi concepito come un corpo ad “U”, nella cui fessura viene impiantato un segno architettonico, un seme molto fecondo che germoglia diventando il corpo scala-ascensore contenuto tra le due gambe della “U”. Un albero artificiale e funzionale, un diaframma che realizza il collegamento distributivo agli alloggi pur senza creare soluzione di continuità tra i due spazi dell’atrio e della piccola corte interna.
In pianta tale albero assume la forma di una mano aperta, una figura questa volta non più fitomorfa bensì antropomorfa, che giace nel ventre fecondo dell’architettura.
E’ degno di nota in questa trattazione il fatto che la realizzazione del Girasole sia stata effettuata dalla Cofimprese, società fondata dal Conte Adolfo Fossataro nella quale Moretti svolgeva il ruolo di progettista. Questi si conobbero nel carcere di San Vittore a Milano subito dopo la caduta del fascismo, allorquando Moretti venne fermato ed ivi trattenuto per un periodo di alcuni mesi per aver tentato di porre le basi di un nuovo partito politico insieme al filosofo Edmondo Cione. (23) La Cofimprese fu fondata con lo scopo principale di costruire alcune case albergo a
Milano, tra cui furono realizzate quelle in via Corridoni, in via Lazzaretto e in via Bassini. La progettazione e la realizzazione della Casa del Girasole coincise, dunque, con il ritorno di Luigi Moretti a Roma e fu la risposta all’esigenza di lavoro per Moretti e di un appartamento per il Fossataro nella capitale. La relativa risposta progettuale fu alquanto complessa, visti gli schemi iniziali così diversi dalla soluzione realizzata, e lette le dichiarazioni dello stesso Fossataro il quale diceva: “Moretti bisognava lasciarlo fare. Non si poteva intervenire. Non si poteva correggere quello che faceva Moretti. Lui ha progettato questa casa direi quasi come un film. Oggi faceva una cosa, domani la cambiava. Non ha mai avuto un progetto definitivo, ogni momento faceva una variazione. Il progetto definitivo si ebbe solo quando la casa venne ultimata.” (24)
Per concepire e sviluppare questa complessa idea, Moretti utilizza in modo articolato un repertorio di elementi progettuali in via di sperimentazione nelle case-albergo milanesi (1947-1953) e nella palazzina per la cooperativa romana Astrea in via Jenner (1947-51).
Esaminando la casa-albergo in via Corridoni a Milano è possibile individuare una serie di scelte compositive che nella Casa del Girasole, ma anche in quella di via Jenner, subiscono un coerente sviluppo. A Milano la fessura che ne caratterizza gli alzati é presente non solo sui prospetti frontali ma anche sulle testate; inoltre le increspature che fuoriescono dall'edificio sono morfologicamente simili, anche se planimetricamente più contenute, rispetto a quelle del Girasole, e sono ancor più simili a quelle della palazzina in via Jenner. Nelle altre due case-albergo milanesi, in via Lazzaretto e in via Bassini, riappare il motivo della fascia basamentale, tanto caro a Moretti sin dal progetto della Casa della Scherma al Foro Italico (1933-36) dove ha luogo un innovativo basamento svuotato, ovvero un bugnato all’inverso
fatto di aperture.
Nel progetto coevo dell’Astrea, al gioco degli sbalzi ricavati dall'incisione della tela con successiva spinta in avanti dei volumi corrispondenti ai vani interni, si aggiunge l'adozione di una fascia basamentale, interrotta da porte e finestre, costituita da una scorza di travertino sospesa da terra per la presenza di un’asola orizzontale. Va qui ribadito che Lucio Fontana infrangerà la tela con buchi e tagli non prima del 1949, quindi dopo i progetti delle palazzine del Girasole e Astrea ai quali fa seguito, nel 1950, la fondazione da parte dello stesso Moretti della rivista Spazio. “Lo seguono nella sua ricerca anche pittori e scultori di grido quali Assetto, Gio Pomodoro, Fontana, lo stesso Capogrossi…” (25) Pertanto va considerato ancora una volta che queste architetture detengono un primato sull’arte, nel generare quel movimento Spazialista di derivazione barocca secondo i cui principi, nelle parole dell’artista nato a Rosario (Fontana), “le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio”.
La Casa del Girasole conta almeno quattro elementi compositivi tipici del suo autore in questo periodo: il taglio verticale nel prospetto su Viale Bruno Buozzi; i volumi a sbalzo che alludono a elementi naturalistici e ad organi zoomorfi (i rami di un abete, le branchie di un pesce); lo sbalzo sul prospetto nord di via Tigri che nasce da una simile matrice progettuale del prospetto su via Jenner della palazzina Astrea; la fascia basamentale in travertino bugnato che, essendo qui alta due piani e notevolmente rientrante rispetto alla sagoma superiore dell'edificio, conferisce al
volume uno straordinario effetto di bilanciata compressione. Si può notare come il basamento in via Jenner sia sopraffatto dalla massa dell'edificio e come, invece, in viale Bruno Buozzi la composizione di queste due parti sia calibrata su rapporti di peso e massa. L'attenzione di Moretti a questi rapporti nasce dalla sua predilezione per quelle architetture michelangiolesche e barocche nelle quali è dominante l'immagine del “peso portato in alto e caricato su sofferenti sostegni” (26), sostegni che nell’Astrea sono non solo sofferenti ma addirittura sopraffatti. Il peso della Casa del Girasole si avverte nelle lastre di travertino romboidali che producono la sensazione di una forte compressione. Tali lastre inclinate, presenti nei lati a monte di viale Bruno Buozzi e di via Schiaparelli – memori della tesi di laurea di M. P. Koržev sulle proprietà espressive della massa e del peso, discussa al Vchutemas con relatore N. A. Ladovsky – non a caso hanno luogo sulle due parti figurativamente più compresse del basamento.
Elementi naturalistici, antropomorfi e zoomorfi, sono presenti in tutta la Casa del Girasole: la testa che lateralmente si innalza oltre la linea del prospetto principale; le tre branchie o girasoli sui due prospetti laterali; le squame, ovvero le preziose tessere vitree di colore bianco che ne rivestono il prospetto principale e i due laterali; l’albero interno costituito dal corpo scala-ascensore, che in pianta si legge come una mano aperta; l’idea di grembo materno espressa tanto in pianta quanto in prospetto; l’epica gamba – in cui risuona l’eco della frattura che Moretti si procurò alla tibia negli anni ’40 in circostanze non del tutto chiarite – affiorante sul lato destro di una finestra del prospetto del piano rialzato su via Schiaparelli (p. 72) e che, nelle parole di Claudia Conforti, costituisce un “… paradosso antropometrico (e vagamente surrealista)”. (27) Tutto ciò é sintetizzato da una patina di archeologismo presente in tutto il basamento e in particolare in quello su viale Bruno Buozzi dove un antro di ingresso cavernoso, quanto scoglioso e ricco di vegetazione, segna “…il crinale roccioso tra l'ombra, che si agita nell'atrio, e la luce esterna.” (28), determinando il repentino passaggio da una stratigrafia senza tempo all’architettura contemporanea, ovvero ad un’opera nella quale “… Moretti traduce il progetto nell’esercizio teorematico di una silenziosa sfida tra estro architettonico e regola tipologica, dove la definizione normativa del tipo è assunta come dettato letterale per la successiva trasfigurazione spaziale.” (29)
Questa fluidità architettonica, priva di ogni riferimento temporale, è violata dalla mano aperta costituita dal gruppo scala-ascensore che, come sopra evidenziato, va a collocarsi in posizione di diaframma così da scandire lo spazio, senza virtualmente interromperlo, in due parti: una più profonda, intima ma illuminata naturalmente, l'altra su strada, cavernosa, ma ombreggiata.
La pianta della palazzina del Girasole mette in evidenza come la sua morfogenesi sia stata determinante per lo sviluppo linguistico di un organismo le cui mutazioni planimetriche risultano motivate, guidate, orientate da precise intenzionalità comunicative. Infatti qui la pianta è sottoposta a una lunga serie di modifiche e, solo dopo essere stata tanto indagata e trasformata, raggiunge quell’articolato equilibrio compositivo tanto strenuamente ricercato da Moretti. Non è dunque appropriato parlare di ricerca formale operata sull'epidermide del volume e svincolata dai propri contenuti, in quanto è evidente che ogni segno affiorante sulla
sua superficie scaturisce da una forza centrifuga interna. Secondo Moretti “La simmetria degli antichi non è da intendersi come asse disegnativo, ma come punto focale onde si diparte la forza formativa, seme, dello spazio [collocato] sempre in un luogo in ombra; mai all’esterno su una parete battuta dal sole o dal vento… I problemi affrontati [nel Girasole], per alcuni lati in polemica con tutto un settore dell’architettura europea, sono bene evidenti: conquista plastica integrale dell’intero volume dell’edificio; rottura della chiarezza ed omogeneità delle superfici con aree di ombre profonde e quasi violente; coincidenza sempre ed ovunque del fatto strettamente logico e funzionale con il fatto lirico ed espressivo (il che poi vuol dire espressione della forma esclusivamente mediante le strutture e ciò sino ai più minuti dettagli); espressione in piena libertà plastica delle superfici strutturalmente non reggenti; la natura di rivestimento non portante del travertino basamentale è dichiarato dalle spartizioni delle pietre secondo disegni puramente astratti; tali comunque da non far cadere nell’errore di stimare le pietre come strutture reggenti.” (30)
Se il tipo portante è il risultato di questo travaglio, i segni portati sono la conseguenza e il completamento espressivo di una scelta chiaramente organica. In questo senso vanno letti l'elemento basamentale e i materiali costruttivi in pietra; l'atrio d'ingresso e la magica rampa di scale a sbalzo, roccia che si fa scultura funzionale, ovvero opera d’arte che si lascia calpestare sacrificando il proprio suprematismo a favore delle esigenze distributive dell’architettura; le linee orizzontali del prospetto principale e l'asimmetrico frontone anti-vittoriano (e nient’affatto “Carabiniere”). Tale schermo, derivante come è stato detto da prospetti templari ed ecclesiali, raccoglie una luce accecante che cattura l’attenzione e fa precipitare lo sguardo nella buia fessura centrale, provocando l’apertura del diaframma dell’occhio intento a ricercare vibranti significati immersi in quell’abisso: ombrosa faglia che perentoriamente interrompe il forte bagliore di un quieto oceano verticale nel quale prendono forma le lievi onde orizzontali del prospetto.
In questa apertura delle acque del Mar Rosso inscritta nel fronte del Girasole, riaffiora pertanto anche l’eco di antichi esodi. La simmetria della facciata marcata dal taglio verticale è negata sia in alto, da un coronamento che richiama sì un timpano ma con modalità non allineate a regole codificate, sia in basso, dal basamento rivestito in travertino sul quale l’edificio vuole apparire solidamente assestato e per nulla intimorito dalle multiple pendenze stradali (elementi critici, due strade in pendenza, vengono qui trasformati in un valore per l’architettura). Robert Venturi chiama queste variazioni – similmente ad Eisenman come è stato precedentemente osservato – esempi di architettura ambigua. Secondo Cecilia Rostagni la lieve deviazione della pianta segue l’anomalia del lotto e il coronamento a timpano “…è anch’esso tormentato da un’appena accennata dissimmetria che delinea con diverse angolature e risalti le due ali del triangolo ideale.” (31)
I due prospetti laterali contengono ciascuno tre volumi a sbalzo, appartenenti alle camere da letto, che deflettono di 12, 16 e 20 gradi onde poter orientare le aperture secondo un’esposizione migliorata, da cui il nome il “Girasole”. Il differenziale angolare di questi corpi è funzionale a meglio catturare la luce naturale: dato che quelli a sud coprono l’esposizione ai raggi del sole degli altri, in questi ultimi la deflessione parietale viene opportunamente incrementata seguendo un criterio compensatorio.
L'espressionismo razionalizzato di questa composizione, apparentemente teso verso una ricerca neoplastica lì dove le superfici dei prospetti anteriore e posteriore si staccano dal volume, guida la mano del suo autore innescando una dinamica architettonica anche futurista nel ricorrente inserimento della linea obliqua. Ne risulta un’opera ricca di modalità progettuali contemporanee intercodice, dove le scelte architettoniche nascono dall'interno e mostrano le proprie leggi di sviluppo nelle volumetrie esterne, nella quale è presente un’intensa riflessione sui rapporti tra architettura e storia che costituisce un approdo di carattere inclusivista della figurazione architettonica contemporanea. Basti leggere la lunga serie di definizioni date a Luigi Moretti nell’ampiamente citato libro del 2011 e ricordate da Giorgio Ciucci durante la sua presentazione del 26 aprile 2012 al MAXXI.
Infine, la componente antropomorfa di questo edificio cattura l’immaginazione di quanti ne tentano una lettura critica che conduce a proporre parallelismi tra Moretti e il Barocco, come abbiamo visto (Kenneth Frampton nel 1974 scrisse che la Casa del Girasole è “…la controparte barocca del razionalismo di Como”); tra Moretti e D’Annunzio (Bruno Zevi scrisse sull’Espresso che D’Annunzio gli è rimasto nel compasso); tra Moretti e De Chirico (Daniela Fonti compie un parallelismo tra l’architettura di Moretti e la metafisica di Giorgio De Chirico); tra Moretti e Michelangelo, Bernini, Borromini, quindi Fontana ecc.
Tutti parallelismi utili a individuare alcune delle numerose metafore ivi presenti, a decodificarne i significati basandosi di volta in volta su diversi registri allegorici. Ed ecco un’altra interpretazione conclusiva, in continuità non in contrasto con le precedenti.
La figura materna, Maria Giuseppina Moretti (32), nata a Gallo frazione di Tagliacozzo (Aquila), ovvero una presenza amatissima e veneratissima dal figlio Luigi, si rivela con estrema chiarezza in quest’opera fortemente marcata dal già citato taglio “carnale” della tela. L’immensa fessura natale che scaturisce dall’oscura selva basamentale, deposita nell’architettura l’indubitabile segno di una pervasività materna. Al suo cospetto, la mascolina rampa di scale che sbalza di tre metri sul pavimento dell’atrio conferisce alla figura paterna un ruolo importante ma secondario rispetto a quello della madre (Luigi Rolland, di origine belga, è stato un architetto romano scomparso nel 1921 quando il figlio aveva solo 14 anni; progettista, tra l’altro, dell’ex politeama Adriano in piazza Cavour, del palazzo delle Poste e Telegrafi in piazza Dante, nonché collaboratore di Giuseppe Sacconi nel progetto del Vittoriano in piazza Venezia, tutti a Roma). All’interno del grembo di questa architettura – che viene ora letta con un registro non più barocco ma biologico, ovvero come grande metafora materna – nascerà un albero di alto fusto, Luigi Moretti stesso, in cerca della luce: quel corpo scala sorretto dall’elegantissimo fusto rastremato che in pianta, insieme all’ascensore, assume la morfologia di una mano aperta, figura notoriamente così cara anche a Le Corbusier. Un segno di pace e riconciliazione, una mano disponibile nel dare e nel ricevere, sempre operosa e intenta nel fare. La simbologia della donna, dell’uomo, del seme della vita, dell’operosità, contenuta in questa architettura parlante – che rimanda nel prospetto principale anche all’immagine di un libro aperto – contribuirà alla formazione di quel neo-illuminismo che tanta importanza ha dato alla libertà e all’indeterminazione, contro ogni visione pessimistica dell’uomo imbrigliato e impedito nel suo progetto vitale.
Nella palazzina del Girasole “… le aspirazioni di Moretti, trovano una loro prima rappresentazione ed un punto d’equilibrio: tra massa e volume, tra volume e struttura; tra il peso introiettante della bipartizione antropomorfa e la leggerezza dei diaframmi e degli sbalzi che quel peso al tempo stesso realizzano.” (33) Ma lo stesso Moretti riteneva che un edificio fosse un vettore, con un verso, nel quale la struttura gioca un ruolo fondamentale: “Penso che oggi e nell’immediato futuro non sia possibile un’architettura se non solo nella direzione struttura verso forma...”, essendo “... l’atmosfera delle strutture la sola ricca in partenza [di] stimoli che
riescano a muovere la nostra macchina spirituale.” (34)
Queste posizioni sono in linea con il suo amore per la matematica, evidenziata dall’attività intrapresa per l’IRMOU (Istituto Nazionale per la Ricerca Matematica e Operativa per l’Urbanistica), ovvero con l’intuizione di un’Architettura Parametrica avvenuta ben prima dell’avvento degli attuali software parametrici di modellazione solida. E l’esclusione di Luigi Moretti operata da Manfredo Tafuri nella sua storia dell’architettura contemporanea ebbe luogo per quegli stessi attriti ideologici che portarono Moretti a definire Bruno Zevi il suo “miglior nemico”.
ANALISI DELLE LOGGE TAMPONATE
In conclusione, a seguito della lettura critica effettuata, per completezza della trattazione risulta opportuno interrogarsi anche su alcune questioni normative legate al progetto della Casa del Girasole, segnatamente alle volumetrie a sbalzo, ovvero alle logge tamponate presenti sopra al marciapiede di viale Bruno Buozzi, di via Schiaparelli e di via Tigri. E’ stato possibile realizzarle in quanto il progetto fu approvato dal Comune di Roma sulla base di un Regolamento Edilizio vigente antecedentemente al 25 ottobre 1949. Infatti da tale data l'art. 51, che prima era titolato “Balconi in aggetto sul fronte stradale”, venne suddiviso in due paragrafi di cui il primo mantenne lo stesso titolo e il secondo fu chiamato: “Costruzioni in aggetto sul fronte stradale”. Il testo originale dell'art. N. 51, prima del 25 ottobre 1949, riguardava soltanto i balconi e i bow windows ai quali, molto spesso, i balconi tamponati venivano assimilati.
I criteri informatori che determinarono la delibera di variazione e integrazione dell'art. 51 del Regolamento Edilizio del Comune di Roma furono i seguenti: “Premesso che specie nelle costruzioni a carattere signorile si manifesta la tendenza da parte dei progettisti di costruire con pareti ad aggetto al di sopra del piano terreno; che tali costruzioni in aggetto non possono considerarsi come dei balconi coperti e circondati da pareti, bensì come costruzioni in aggetto chiuse con pareti del tipo bow windows e simili, in quanto esse vengono fatte allo scopo di aumentare le dimensioni utili di vani di abitazioni e perfino di cucine e bagni e, quindi, non appaiono applicabili per esse le norme dell'art. 51 del Regolamento Edilizio vigente; che, in conseguenza, é necessario stabilire delle ulteriori norme che vengano a costituire parte integrante del Regolamento Edilizio e che disciplinino le dimensioni delle costruzioni in aggetto, allo scopo di evitare degli abusi che verrebbero anche praticamente a frustrare gli intendimenti in base ai quali sono state fissate le norme per i distacchi tra gli edifici... ecc.” (35)
Dal testo su riportato, vista la data della modifica del Regolamento Edilizio di Roma (25 ottobre 1949) (36), emerge che tale deliberazione fu motivata dalle numerose richieste di concessione edilizia ricevute dalla Municipalità nell’immediato dopoguerra i cui progetti seguivano quei canoni architettonici ispirati dalle avanguardie contemporanee, con particolare riferimento agli sbalzi resi possibili dalle potenzialità del cls. armato, come appunto avviene nella Casa del Girasole. Tali realizzazioni, pertanto, dopo quella data non furono più ammissibili, e ciò dimostra quanto le architetture derivino per molti versi dai Regolamenti Edilizi delle città nelle quali sorgono. Il Girasole è stato uno degli ultimi progetti approvati a Roma con la vecchia normativa.
Con le limitazioni successivamente introdotte è divenuto molto più arduo edificare a Roma un edificio interpretabile secondo plurime chiavi di lettura: la Fontana dei Quattro Fiumi, l’obelisco, il taglio della tela, il Mar Rosso, la metafora della vita, i girasoli in cerca della luce, un libro aperto ed altro ancora. La gabbia normativa ha ormai invaso ingenti spazi della creatività umana, territorio oggi più di ieri abilmente sfruttabile da costruttori senza scrupoli per escogitare stratagemmi volti a ottenere facili aumenti di cubatura – nel merito si pensi all’insostenibile leggerezza di concetti quali quello di serra solare – piuttosto che disponibile a consentire al progettista di sviluppare un racconto di architettura, scritto come in questo caso su un assetto enigmatico, variabilmente modulato su multipli registri.
QUATTRO SINTETICHE TESTIMONIANZE SU LUIGI MORETTI E SULLA SUA EPOCA
PADRE AMBROGIO FUMAGALLI
“Conobbi l’architetto Luigi Moretti nel 1943 all’Istituto Rizzoli di Bologna; era stato operato per una ferita riportata durante un’incursione sul cielo di Malta in compagnia di Ettore Muti. Me ne parlava come se fosse stata una incosciente bravata goliardica, e di cui si dovette pentire per le disastrose conseguenze.” (37)TOMMASO MAGNIFICO
“I genitori non possono contrarre matrimonio in quanto il padre è già sposato pur essendo separato di fatto. Le sorellastre gli negheranno per tutta la vita la possibilità di assumere il cognome del padre. Il padre … muore a Roma nel 1921 lasciando quindi il figlio orfano a 14 anni, ma non del tutto privo di mezzi economici. Per quanto riguarda il presunto ‘raid’ aereo su Malta, smentisco nel modo più assoluto la partecipazione di Luigi Moretti a qualsiasi azione di guerra. Il motivo per cui Moretti è stato ricoverato nel ’43 prima a Firenze e poi a Bologna, è dovuto alla frattura di una tibia riportata in un incidente stradale all’altezza di Prima Porta nei pressi di Roma… L’episodio del presunto ‘raid’ è soltanto un fraintendimento. La verità storica è che nel 1940 Moretti compie un viaggio aereo con (Ettore) Muti a Rodi, allora territorio italiano, a puro scopo di visita turistica.” (38)AGNOLODOMENICO PICA
“… le aspirazioni, quasi ossessive, e le cocenti ambizioni di Moretti sono solamente e fermamente indirizzate a esiti culturali. Dopo una fervida stagione giovanile illuminata dagli ideali e dai modelli della classicità, Moretti si rivolge al razionalismo. In seguito, dopo il ’45, il suo personale post-razionalismo non è senza una particolare considerazione di Wright, né senza una, probabilmente eccessiva, ammirazione per Gaudì, il tutto nell’ambito della riconsiderazione del grande barocco romano, specie di Borromini.” (39)G. E. KIDDER SMITH
“Non si può negare che in Italia c’è un eccesso di eleganza superficiale e di amore per la facciata neoaccademico che si può far risalire all’eredità del Rinascimento... C’è una tendenza molto spiccata al complesso del palazzo e una bellezza ‘epidermica’ che raggiunse il culmine sotto il fascismo. La facciata elegante – ancora come nel Rinascimento – domina…” (40)
NOTE
1 - Roma 22 novembre 1906, registrazione anagrafica 2 gennaio 1907 – Capraia 14 luglio 1973.
2 - 1947-50, ubicata a Roma in viale Bruno Buozzi n. 64, in una zona destinata dal Piano Regolatore del 1931 a edificazione intensiva.
3 - i disegni architettonici sono stati da me eseguiti nel 1987 e aggiornati nel 2012.
4 - si pensi a titolo di esempio alle realizzazioni di Terragni, di Libera, di Ridolfi, di Monaco, dei Luccichenti.
5 - Luigi Moretti Architetto del novecento, a cura di C. Bozzoni, D. Fonti, A. Muntoni, Gangemi, Roma 2011, pp. 469-472.
6 - Op. cit., p. 401.
7 - Secondo Bruno Zevi, Luigi Moretti era dotato di “un’autentica tempra di artista, integrata da una notevole anche se asistematica cultura e da una straordinaria capacità professionale. Avrebbe potuto assumere un ruolo determinante nella depressa atmosfera italiana; ma una volontà spasmodica di affermazione individuale, associata ad un intellettualismo di marca dannunziana, ingordo di raffinatezze e di lusso, riportava la sua fantasia nei binari di un insopportabile conformismo. Uno spreco in termini civili e umani, malgrado fosse attento alle correnti scientifiche ed estetiche più avanzate ed iconoclaste.” B. Zevi, La scomparsa di Luigi Moretti. Computer inceppato dal dannunzianesimo, in L’Espresso, 1973, 29 luglio, ora in ID., Cronache di architettura,
Bari 1975, n. 130, pp. 130-133.
8 - Op. cit., pp. 57-58 e 50-51.
9 - Op. cit., p. 19.
10 - Op. cit., p. 135.
11 - Op. cit., pp. 369-70.
12 - Op. cit., p. 120.
13 - Op. cit., pp. 233, 234, 236.
14 - Op. cit., p. 95.
15 - Op. cit., p. 242.
16 - Op. cit., p. 37.
17 - Non appaia curioso al lettore che questo libro si concluda con una sintetica scheda analitica sulla Torre Eurosky. Ciò avviene in quanto si ritiene essere l’architettura più emblematica realizzata a Roma negli ultimi decenni. Qui si vuole solo anticipare il fatto che anche con essa ci si intende misurare in proficui esercizi di ermeneutica.
18 - Sul tema dell’ontogenesi che ricapitola la filogenesi in architettura si vedano i seguenti testi: R. Lenci, Evoluzione e architettura, in Nella Ricerca, Annali del DAU, Gangemi, Roma 2008, p. 68; R. Lenci, Evoluzione e architettura tra scienza e progetto, Prospettive, Roma 2008, p. 36; R. Lenci, Pietro Barucci Architetto, Electa, Milano 2009, p. 18; R. Lenci, Mutazioni Laurentino 38, Prospettive, Roma 2011, p. 24; R. Lenci, Oltre l’accademia, in Pietro Barucci Scritti di architettura, Clean, Napoli 2012, p. 11. (Mi scuso per le autocitazioni e, al tempo stesso, mi auspico che il tema stimoli curiosità intellettuale).
19 - P. Portoghesi, Roma Barocca, Carlo Besetti Edizioni d’arte, Roma 1966, p. 17.
20 - Maurizio e Marcello Fagiolo dell’Arco, Bernini, Bulzoni, Roma 1967, p. 31.
21 - P. Portoghesi, Roma Barocca, Carlo Besetti Edizioni d’arte, Roma 1966, p. 19.
22 -Nelle discipline che indagano la mente umana, dopo quelle di Jung che rendono collettive quelle di Freud, alcune risposte si sono avute da Raimon Panikkar (incontro interculturale e interreligioso tra oriente e occidente), Humberto Maturana e Francisco Varela (autopoiesi).
23 - Nella sua testimonianza padre Ambrogio Fumagalli parla di sei mesi di arresto. Parametro 160, 1987, p. 52.
24 - Adolfo (non Alfonso) Fossataro, Interviste e testimonianze sulla vita di L. Moretti, in Parametro 154, 1987, p. 28.
25 - Intervista a Padre Ambrogio Fumagalli, in Parametro 160, p. 53.
26 - L. Moretti, Genesi di forme della figura umana, in Spazio 2, 1950.
27 - C. Conforti, in A. Belluzzi, C. Conforti – Guide all'Architettura Moderna, Architettura italiana 1944-1984, Laterza, Bari 1985, p. 100.
28 - C. Conforti, in A. Belluzzi, C. Conforti – Guide all'Architettura Moderna, Architettura italiana 1944-1984, Laterza, Bari 1985, p. 100.
29 - C. Conforti, in A. Belluzzi, C. Conforti – Guide all'Architettura Moderna, Architettura italiana 1944-1984, Laterza, Bari 1985, p. 95.
30 - L. Moretti, Casa del Girasole in Roma sul viale Bruno Buozzi, dattiloscritto in ACS (fondo L. Moretti, b. 15), M. Mulazzani, Le forme nello spazio di L. Moretti (Struttura come forma, 1952), in Luigi Moretti opere e scritti, F. Bucci, M. Mulazzani, Electa Milano 2000, p. 18 e nota n. 62, p. 30.
31 - C. Rostagni, Luigi Moretti, 1907-1973, Electa, Milano 2008, p. 232.
32 - S. Santuccio ha scritto: “Di certo è che il cognome Moretti non deriva direttamente da quello della madre, ma è connesso con alcuni parenti dell’architetto, da parte di madre.” S. Santuccio, Vita e opere di Luigi Moretti, in Parametro n. 154, 1987, p. 18.
33 - C. Severati, La formazione di Moretti al centro della vita, in Parametro n. 154, 1987, p. 16.
34 - M. Mulazzani, Le forme nello spazio di L. Moretti, in Luigi Moretti opere e scritti, F. Bucci, M. Mulazzani, Electa, Milan 2000, p. 20.
35 - R. Ivella, G. Liuzzo, Commento al Regolamento Edilizio di Roma, Stamperia Nazionale, Roma 1957
36 - Ecco il testo integrale dell'articolo 51, paragrafo B, valido dopo il 25 ottobre 1949 dal titolo: Costruzioni in aggetto sul fronte stradale. “Sono ammesse solamente sulle strade, sia pubbliche che private, aventi una larghezza non inferiore a metri 16. L'aggetto non potrà essere spiccato ad altezza inferiore a metri 4,50 dal piano stradale, con l'avvertenza che tale altezza va misurata in corrispondenza del punto più basso dell'aggetto stesso (e cioè dove la strada si trova a quota più elevata). La sporgenza massima dell'aggetto non dovrà essere superiore a 1/20 della sezione stradale e in ogni caso a m. 1,40. La lunghezza della fronte della costruzione in aggetto non dovrà superare nel suo complesso la metà della fronte a filo stradale dell'edificio (agli effetti di tale misura non dovrà considerarsi come fronte utile quella determinata da eventuali costruzioni accessorie ad un solo piano a filo stradale che sorgessero in prosecuzione dell'edificio principale).”
37 - Intervista a Padre Ambrogio Fumagalli, in Parametro 160, p. 53.
38 - Testimonianza dell’architetto Tommaso Magnifico (figlio di una sorella della madre di Luigi Moretti), in Parametro 160, p. 52.
39 - Intervista ad Agnolodomenico Pica, a cura di S. Santuccio e A. Greco, in Parametro 154, 1987, p. 30.
40 - G. E. Kidder Smith, L’Italia costruisce, Edizioni di Comunità, Milano 1955, p. 126-127.