di Giuseppe Nicolosi
Analisi strutturale di Ruggero
Lenci
La Chiesa di S. Policarpo è un’opera di grande maturità che
segue precedenti sue esperienze di inserimenti spaziali di simile intensità
specialistica, ma che le supera per ordine geometrico, strutturale, simbolico
e per invenzione plastica. La massa superiore della chiesa è definita
da un esagono che diventa il nocciolo di una stella a sei punte, leggibile
come tale sia all’esterno che nello spazio interno, in cui il sistema delle
travi aeree dà luogo nell’aula a una monumentale stella di Dàvid.
I sei pilastri necessari per sostenere queste travi, quindi il complesso sistema
delle falde di copertura, non sono posizionati sulle intersezioni interne
alla stella ovvero sull’esagono in essa inscritto, ma sui vertici della figura
così da ampliare l’aula sottostante liberandola da vincoli strutturali
che altrimenti sarebbero risultati troppo centrali. Le sei falde della copertura
stellare, a forma di losanga, sono marcate da altrettante nervature che,
a circa un sesto dal centro geometrico della composizione compiono un repentino
scatto verso l’alto creando una guglia, o pinnacolo (con inclinazione molto
simile a quella della copertura del Battistero di Pisa) che funge da supporto
all’esile croce posta sulla sua sommità. Tali meccanismi geometrici
determinano la forma di questa massa estrusa, facendola apparire come se
la stessa fosse dotata di un dinamismo telescopico.
Anche se per impianto questo volume è più facilmente riconducibile
a un tiburio esagonale piuttosto che a una cupola nervata, esso non può
definirsi come tale, costituendo un condensato di attività sperimentali
sul tema del progettare per costruire innovazione. Una felice invenzione
volumetrica che si è potuta concretizzare grazie alla profonda conoscenza
della storia dell’architettura da parte del suo autore, a una grande capacità
di concepimento e risoluzione del dettaglio tecnico-costruttivo, ma poi grazie
anche all’azzeramento semantico di ogni dato formale a priori, maturità
che ha permesso a Nicolosi di procedere in totale autonomia figurativa.
Michelucci, Muratori, Ridolfi, Paniconi e Pediconi, e poi Zacchiroli trattano
il volume infondendo in esso qualità materiche e morfologiche che
in alcuni casi risultano essere paragonabili a quelle nicolosiane. Dal linguaggio
muratoriano degli edifici per uffici dell’Enpas a Bologna, della Democrazia
Cristiana all’EUR e dalla chiesa dell’Assunzione al Tuscolano a Roma, ad
esempio, Nicolosi è certamente attratto ma anche probabilmente turbato
per quel coté di confronto con la storia poco “corale” e troppo personalistico
presente in quelle realizzazioni. Nel periodo umbro di Ridolfi, è
riscontrabile una forte assonanza tra i materiali usati, il modo di combinare
il paramento in pietra con ricorsi a mattoni, e la composizione plastica
del volume architettonico. Zacchiroli, inoltre, è alla ricerca di
una misura adeguata dell’intervento della permanenza (tra personalità
e coralità), come si evince in particolare dalla lettura del riuscito
progetto per la Banca d’Italia a Siena realizzato in mattoni di argilla e
conci di travertino.
Il volume della Sinagoga di Philadelphia di F. L. Wright (1959, inaugurata
poco dopo la morte del grande maestro organico), è più dirompente
di quello di San Policarpo che invece è improntato su una geometria
molto calligrafica, ma tra questi due progetti è possibile riscontrare
alcuni temi assonanti: l’ideazione di una massa volumetrica di nuova invenzione
e sfaccettata; l’inserimento di corpi acuti che in un edificio religioso invitano
a una fede colta e scattante, piuttosto che fiacca e compiacente; l’idea
di un’architettura fatta per corpi telescopici di cui quelli più alti
e leggeri emergono da solide masse basamentali (si confronti anche la pianta
di San Policarpo con quella, sempre di Wright, del Tempio di Madison nel
Wisconsin del 1951). In Danimarca, inoltre, Nicolosi è certamente
attratto dai lavori di Jacobsen e in Svezia e Finlandia da quelli del New
Empiricism e dall’organicismo europeo di Aalto, nei quali sono rintracciabili
forti caratteri di permanenza. Si può anche sostenere che, benché
più giovane, Louis Kahn abbia esercitato una certa influenza sulla
ricerca di Nicolosi, che si rende evidente in quelle opere nelle quali il
dialogo tra struttura, involucro e volume assume toni di forte coesione,
ispirati dalla cultura di ciò che è pensato per rimanere nel
tempo.
Tra i progettisti contemporanei che percorrono analoghi sentieri di ricerca,
sia pur con modalità linguistiche differenti, troviamo Mario Botta
e Rafael Moneo. Il primo va citato sia per le tante realizzazioni di volumi
connotati dalle forti qualità materiche della pietra e del mattone,
realizzazioni sempre tese a inventare nuove geometrie tridimensionali idonee
a far penetrare la luce nello spazio interno evitando di realizzare l’apertura
come “buco nel muro”, sia per il contributo teso a diffondere quella cultura
regionalistica della “coralità” su cui non si dovrebbe innalzare alcuna
voce. Il secondo per l’austera organicità con la quale risolve il
rapporto tra struttura e architettura in molti progetti, in particolare nel
museo di arte romana a Mérida.
S. Policarpo, in questo senso, racchiude in sé l’idea che meglio rappresenta
la sintesi di una forma atemporale a lungo ricercata da Nicolosi, una forma
ripetuta a scale diverse attraverso un meccanismo geometrico generativo per
mezzo del quale dalla sagoma planimetrica dell’aula della chiesa viene generata
la pianta dei sei monumentali pilastri secondo la regola dell’autosimilirità
scalare. Nella sua composizione sono anche presenti in modo chiaro le tracce
di un profondo scavo nella storia dell’architettura, compiuto per pervenire
ad esiti di una spazialità interna e a una plasticità volumetrica
in cui vengono stabiliti continui riferimenti e analogie con i modelli da
cui questa trae ispirazione. Ciò dà luogo a una complessità
contemporanea impostata su radici solide e a una qualità dello spazio
colta e fondata sull’idea di permanenza.
S. Lorenzo a Torino di Guarino Guarini la cui cupola è impostata su
una simile concezione geometrica ma a pianta ottagonale, S. Ivo alla Sapienza
di Francesco Borromini in cui il sistema geometrico che presiede alla composizione
della cupola è basato su due triangoli equilateri ruotati di 60°,
il gioco volumetrico delle coperture del battistero di Piazza dei Miracoli
a Pisa, le masse compenetranti derivanti dalla geometria ottagonale della
Cappella reale carolingia di Aachen che echeggiano il complesso monumentale
di S. Vitale a Ravenna costituiscono, andando a ritroso nel tempo, i principali
riferimenti ai quali la concezione spaziale di S. Policarpo appare intimamente
legata.