Architettura teorematica

Autori / Authors: Ruggero Lenci, Nilda Valentin



 

Ruggero Lenci

A differenza degli architetti che hanno studiato negli anni ’60, quelli del decennio successivo, salvo rare eccezioni, non si sono ancora cimentati nella narrazione della propria formazione, ovvero in una riflessione mirata a chiarire come gli accadimenti di un periodo segnato da eventi quali il consolidamento delle conquiste spaziali, gli anni di piombo e la post-modernità abbiano lasciato le proprie tracce su un quarto di secolo di progetti e di ricerca di architettura. Tale scrittura potrebbe risultare utile a tracciare una visione architettonica confrontabile con quella appartenente a chi ha operato lo strappo del 1968. La narrazione che segue, pertanto, intende stabilire una continuità che faccia emergere assonanze e divergenze con il pensiero dei protagonisti del decennio precedente e che possa fungere da ponte per quelle future.
Quando mi sono iscritto alla facoltà di Architettura nel 1973, lo spirito nuovo degli anni ‘60 ormai aveva, come già accennato, spazzato via la passata tradizione, offrendoci una facoltà quasi del tutto liberata da idee in molti casi del tutto tramontate. I nostri studi e progetti erano basati sugli insegnamenti di Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Alvar Aalto, Louis Kahn, Ludwig Mies van der Rohe, Giuseppe Terragni, Luigi Figini e Gino Pollini, e poi, Kenzo Tange, I.M. Pei, Oswald Mathias Ungers, i Five Architects. Ricordo come i miei professori delle materie compositive Gianfranco Moneta, Francesco Berarducci, Alfredo Lambertucci, Claudio Dall’Olio e i loro assistenti, affiancavano all’insegnamento dei grandi maestri quello delle ultime tendenze e avanguardie, tra cui la corrente informale di Reima Pietila e John Johansen, l’approccio metabolico al progetto abitativo di Moshe Safdie e Kisho Kurokawa, quello neo-espressionista di Ralph Erskine, gli emergenti progetti hi-tech di Frei Otto, Renzo Piano, Richard Rogers, Norman Foster e Peter Rice.
Al di là di questi interessi, l’orientamento generalizzato dei corsi di Composizione Architettonica di quegli anni imponeva di inserire in una matrice razionale almeno un setto curvo o un allineamento di pilastri con una spesso quasi inavvertibile inclinazione, tanto bastava per dinamicizzare e rendere attuale il progetto contemporaneo. Ciò andava fatto con un grande senso della misura, per non sconfinare in quel caos di linee impazzite che, evidentemente pronte ad esplodere, da lì a poco avrebbe invece caratterizzato i progetti dell’avanguardia decostruttivista.
Dopo gli anni ’60, quelli successivi nelle facoltà di architettura italiane erano gli anni della moderazione, con cui misurarsi in particolar modo nei progetti che riguardavano gli inserimenti nei centri storici. E non si teneva in grande considerazione il fatto che nel centro di Parigi era in corso di realizzazione la fabbrica del Beaubourg. In molti casi i professori e i loro assistenti mettevano la sordina all’esuberanza sperimentale degli studenti inducendoli a reiterare più e più volte le stesse scatole e scatolette, accettando in questo meccanismo seriale solo l’inserimento di minime variazioni. Talvolta essi eccellevano nel rivelare l’ordine frattal-strutturalista del progetto di architettura, come nel caso di Franco Purini, un progetto che a tutte le scale avrebbe dovuto mostrare parti del tutto, evidenziando così il proprio DNA. Altri docenti o assistenti invece, pervasi da un fenomenologismo in alcuni casi anche molto colto, sostenevano che ogni nuova occasione avrebbe dovuto rappresentare una sfida progettuale che imponeva operazioni di continuo riaggiornamento concettuale e linguistico. Secondo questi ultimi, solo a posteriori si sarebbero potute rintracciare le costanti di un operato che, privo di schematismi a priori, avrebbe dovuto e potuto mettere in luce la struttura intima di una ricerca affrancata dalla soggezione di una catechesi architettonica fatta di rigidi quanto dottrinali comandamenti. Una volta evidenziati questi elementi, gli stessi avrebbero potuto liberamente fare la loro apparizione nel successivo progetto, così legando esperienze diverse a una solida visione teorica unitaria, ottenuta senza ricorrere all’uso di facili e banali meccanismi ripetitivi.
La frase “specifico architettonico” e la parola “azzeramento” costituivano due tra i concetti principali del momento. La maggior parte dei docenti era d’accordo sul fatto che ogni progetto avrebbe dovuto rappresentare un sostanziale azzeramento rispetto a quanto era stato fatto in precedenza. Sia chi operava secondo le modalità più dogmatiche dei primi, sia chi non rinunciava alla libertà dei secondi, tutti credevano che ogni successivo progetto necessitasse di essere elaborato ripartendo da basi sostanzialmente nuove.
Ma non tutti intendevano per azzeramento la stessa cosa, significando per i primi solo l’apporre minime variazioni al tema di fondo, mentre per i secondi la costante ripartenza da tracciamenti radicalmente nuovi e totalmente revisionati rispetto alle esperienze precedenti. Pertanto la “scuola romana” e il suo sviluppo (che va dal periodo tra le due guerre ad almeno tutti gli anni ’70) è contenuta tra questi due estremi: la reiterazione di una frattalità lineare tipica dello spazio euclideo; la ricerca spesso metamorfica – da cui il nome del gruppo Metamorph – di un’architettura che tenta di non ripetersi, dodecafonica, che se a volte è frattale non è solo del tipo lineare, tanto da costituire spesso l’alternativa rienmanniana allo spazio euclideo.
Tutto ciò non emergeva ancora con chiarezza in quegli anni nella Facoltà di Architettura di Roma, nonostante molti studenti e professori fossero impegnati a fare del proprio meglio per comprendere i rapidi mutamenti di scenario. Bruno Zevi nella sua affollata aula del corso di Storia dell’Architettura Contemporanea alternava frasi taglienti come una lama affilata a lunghe pause di riflessione introdotte per stimolare il pensiero degli studenti a intervenire nel dibattito architettonico con idee innovative. In particolare in una delle sue lezioni esortò gli astanti a escogitare nuove modalità per aggiungere allo spazio della rappresentazione architettonica la quarta dimensione, anticipando così di almeno un decennio la realtà virtuale e le animazioni. Un’altra lezione molto intensa fu quella che Ludovico Quaroni – personalità che si contrapponeva a quella di Zevi – tenne in occasione di una revisione a uno studente che gli aveva presentato il progetto di un edificio giudicato incompatibile con l’ambito urbano consolidato nel quale avrebbe dovuto essere inserito. Fece una disquisizione sulla bellezza degli intonaci decrepiti dei muri delle case dei quartieri spagnoli di Napoli, che definì “sgarrupati”, dando a questa parola un grande valore, maggiore rispetto a quello che, senza la patina del tempo, emergeva dalle tele di Alberto Burri. Ricordo poi le mirabili lezioni di Sergio Musmeci nel corso di Ponti e Grandi Strutture, durante le quali esponeva le sue idee sul concetto di “minimo strutturale” spiegando che nella forma è già presente tutta la potenzialità di una struttura. Egli era solito concludere dicendo che se inventare forme intelligenti è una prerogativa degli architetti, la scoperta delle forme appartenenti al minimo strutturale è un dovere per gli ingegneri, come emerge chiaramente dal suo progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Quindi ricordo le lezioni di Statica di Mario Desideri e il suo rigore didattico, quelle di Tecnica delle Costruzioni di Antonio Michetti e la sua proverbiale capacità comunicativa. O, ancora, Pier Maria Lugli quando nella classe di Urbanistica esortava gli studenti timorosi ad avviare il progetto dicendo loro: “un progettista seduto di fronte a un foglio bianco con una matita in mano è come un sarto alle prese con una nuova stoffa pronto per iniziare a tagliarla da un lato con le forbici. Alla fine non importa da quale lato egli inizierà a tagliarla ma il vestito che riuscirà a fare”.
Proprio con Lugli ho avviato gli studi urbanistici sul tema che poi diventerà la mia tesi di laurea, che ha riguardato il progetto di un centro sportivo – di cui è stato relatore Claudio Dall’Olio – all’interno di un disegno più vasto comprendente tutta la sistemazione del Parco del Pineto a Roma. Questo lungo lavoro non è stato un mero esercizio accademico, ma è scaturito dal soddisfacimento di esigenze di aree a verde da parte dei cittadini delle zone limitrofe. Di queste necessità presi atto durante le mie frequentazioni del Comitato di Quartiere “Valle Aurelia” insieme al quale davamo corpo a un progetto che, oltre a svilupparsi in tesi di laurea, contribuì all’ottenimento da parte del Comune di Roma del cambiamento della destinazione d’uso dei 248 ettari del Pineto, da varie destinazioni per lo più edificabili, a zona “N” (verde pubblico, servizi e impianti sportivi, il 30/03/1976).
Nel 1978 si concluse con lode la mia carriera studentesca italiana. La tesi fu pubblicata sul quotidiano Paese Sera e sui Quaderni di Roma. Quindi vinse il primo premio al concorso, allora decennale, del CONI riservato a tesi di laurea su impianti sportivi. Appresi di questo successo nel 1980, mentre ero in America per seguire i corsi di un Master in Architettura che conclusi nel giugno di quell’anno.
Negli Stati Uniti, dove ho svolto la professione dopo gli studi per un periodo di due anni e mezzo, fui introdotto alla dimensione del progetto collaborativo in un momento nel quale gli elaborati architettonici venivano redatti ancora a mano. Ad Atlanta riconobbi in Nilda Valentin uno spirito chiaro, un essere di grande generosità che aiuta senza risparmiarsi, oltre che una sublime compagna nel viaggio dell’architettura e della vita. Non posso dimenticare quanto mi fu vicina nel maggio del 1980 quando ebbe luogo il terribile attentato terroristico a mio padre da parte dei brigatisti di prima linea. Ne fui commosso. Ma non dimentico neanche i tanti consigli utili nel lavoro e nella quotidianità.
Dopo aver collaborato in vari progetti negli studi di Fabrap e Finch-Heery (Nilda nello studio Toombs, Amisano & Wells) e dopo il nostro matrimonio avvenuto ad Atlanta nel 1981, ci trasferimmo a Houston dove ho collaborato con gli studi di Lockwood-Greene e Christopher Di Stefano (Nilda con lo studio di Lockwood Greene). Quindi decidemmo di partire per l’Italia agli inizi del 1983. Il periodo americano ha rappresentato un’esperienza fondamentale per la mia formazione non solo di architetto ma anche di docente, nonché un’occasione per valutare in dettaglio i meriti dell’approccio collaborativo al progetto di architettura.
In Italia, dove regnava una grande confusione economica che aveva innalzato l’inflazione a due cifre, la gente stava iniziando a prestare attenzione al concetto di sostenibilità. La conferenza promossa nel 1971 dal Club di Roma sui limiti dello sviluppo che divulgava una ricerca del M.I.T. su quel tema, seguita dalle conferenze di Stoccolma (United Nations Conference on the Human Environment, 1972), di Rio de Janeiro (United Nations Conference on Environment and Development, Rio Earth Summit, 1992) e di Johannesburg (World Summit for Sustainable Development, 2002), iniziava a esercitare un ruolo centrale nel promuovere un’architettura e una pianificazione ambientale rispondenti al tema della sostenibilità: uno sviluppo che soddisfa le esigenze presenti senza compromettere l’abilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni (definizione di sostenibilità, dal Brundtland Report, 1983).
Durante la metà degli anni ’80 l’uso del personal computer in architettura introdusse un nuovo concetto di ampliamento spazio-temporale, rendendo possibile la costruzione di spazi virtualmente infiniti, la riduzione dei tempi da dedicare al disegno del progetto e l’uso di sofisticati programmi per l’elaborazione dei calcoli strutturali. Essendo stati tra i primi architetti a Roma ad essere dotati di un sistema CAD, oggi ci appare evidente come in quegli anni questa attività rivoluzionaria potesse apparire poco più che un esperimento per temerari pionieri. L’interrogativo di fondo che ci ponevamo, e che ancora ci poniamo, è: l’inarrestabile espandersi della tecnologia è compatibile con il concetto di sostenibilità, oppure tale fenomeno produce una catena di impatti, anche indiretti, incompatibili con l’ambiente? Sappiamo che la tecnologia selvaggia produce tali impatti, e che questi vanno osservati, misurati e ridotti. Al tempo stesso però è impossibile non riconoscere i crescenti vantaggi che l’informatica gioca anche a favore dell’architettura: un sempre maggior controllo del progetto sia nelle sue fasi esecutive e definitive – rendendo possibile un livello che non è mai stato così alto nel passato di collaborative design, settore nel quale è in atto un crescente numero di ricerche universitarie in tutto il mondo – che in quelle preliminari, tanto da far assumere alla Computer Aided Design una condivisibilità pressoché illimitata, a parziale garanzia di una sua più elevata qualità. Assistiamo infatti a composizioni in molti casi estremamente complesse nelle quali la qualità dell’architettura è nutrita, analizzata ed esaltata per mezzo della sua costruzione grafica virtuale, sia statica che dinamica.
Nel trattare il concetto di un’architettura sostenibile gran parte del nostro lavoro ha puntato sul fornire alcune possibili risposte al tema dell’unità abitativa. Questo tipo edilizio, che richiede lo sviluppo di una particolare sensibilità nel comprendere quale sia l’appropriata scala d’intervento, impone di relazionarsi strettamente con gli aspetti ambientali del contesto, tra cui l’esposizione degli alloggi, la ventilazione, la topografia del sito, le viste, ecc. Nel corso dell’elaborazione di una serie di progetti residenziali abbiamo potuto sperimentare che, dotando gli alloggi in edifici alti fino a quattro piani di ampi spazi esterni a uso esclusivo, un progettista può contribuire significativamente a realizzare unità abitative sostenibili. Di contro, in edifici più alti diventa opportuno dotare l’unità abitativa di ampi spazi comuni: sia a verde e portici al piano terra, sia a tetto-giardino in copertura, sia di altro tipo nei piani intermedi.
Nei progetti Europan 1, in quello del concorso internazionale premiato nel 1989 e nella soluzione finale eseguita a Favaro Veneto (Venezia, 1997-2002) si è voluta dimostrare la possibilità di ottenere tale sostenibilità anche in regime di edilizia sovvenzionata. Ciò è stato perseguito realizzando edifici a quattro piani nei quali gli alloggi sono dotati di ampi spazi esterni a giardino e a terrazze di copertura. Un concetto simile è stato riproposto nel 2004 nel progetto vincitore al concorso per quaranta alloggi da realizzarsi a Roma sul Campo Maestrelli ubicato nella Caserma dei Carabinieri Salvo d’Acquisto in viale Tor di Quinto: giardini privati per gli alloggi a piano terra, terrazze di copertura private per quelli dei piani superiori. Nel progettare edifici alti, invece, oltre alla creazione di spazi comuni nelle aree a piano terra è appropriato elaborare l’idea di blurring architecture (architettura porosa, sfumata nel verde) inserendo nel volume il concetto delle ville sovrapposte, che richiede l’uso di ampie terrazze e molto verde, seguendo le idee dell’Unité d’Habitation o dell’Immeuble Villas di Le Corbusier, quelle derivanti dall’Habitat ’67 a Montreal di Moshe Safdie, e quelle facenti capo ad altri esempi, tra i quali emergono i lavori di Adele Naudé Santos e di Tengku Robert Hamzah e Ken Yeang. Alla ricerca di modalità innovative per interpretare il concetto di porosità in architettura, questi architetti ampliano con nuove sperimentazioni le possibilità spaziali moderniste che facevano uso di un purismo geometricamente perpendicolare e metabolico come forma atta a garantire un habitat socialmente sostenibile. Di fatto le loro sperimentazioni si occupano di dare risposta a una domanda fondamentale: può una rinnovata visione architettonica ridurre il conflitto sociale distribuendo la cultura dell’abitare in modo sostenibile? Le risposte a questa domanda potrebbero consistere in altrettante sperimentazioni utili alla formazione dei principi alla base della cultura architettonica delle prossime generazioni.
I progetti elaborati in oltre 25 anni, fino al 2005, seguono un ordine cronologico qui scelto per meglio testimoniare trasformazioni e permanenze concettuali e comunicative avvenute in oltre un quarto di secolo, un periodo caratterizzato dalla rivoluzione informatica. Questo cambiamento epocale nel mondo del componimento architettonico, reso evidente soprattutto grazie a un rinnovato apparato espressivo, come noto ha avuto luogo a partire dagli inizi degli anni ’90, tanto da far assumere ai progetti appartenenti a quei 25 anni di mezzo, un’identità più complessa rispetto a quelli sviluppati dalle generazioni passate o future. Conseguentemente, per poter riconoscere una continuità nella ricerca compositiva avente luogo nei progetti che ricadono in questo periodo, è necessario effettuarne una non rapida e solo epidermica lettura che, per contro, potrebbe risultare appropriata per ripercorrere nel tempo le diverse tecniche utilizzate per la loro rappresentazione.
Alcuni progetti qui raccolti contribuiscono al tentativo di sviluppare un linguaggio che, ponendosi come obiettivo quello della compatibilità con l’ambiente nel quale sono inseriti – in molti casi mediterraneo – al tempo stesso ambisce a produrre l’idea di un’architettura sostenibile. Questi sono: il centro sociale e sportivo a Botticino (1987), Europan 1 a Bologna (1989), la Biblioteca Alessandrina ad Alessandria d’Egitto (1989), le Unità abitative di Favaro Veneto (1997-2001), il quartiere abitativo di Bergamo-Valtesse (1997), il Museo di Arte Moderna di Bolzano (2001), gli alloggi Duxton Plain Park a Singapore (2001), il Municipio di Santa Marinella (2004). Questi progetti mettono in rappresentazione un sistema razionalista strutturalmente evidenziato, un pentagramma, che viene reso fluido e significante da un manto espressionista che si articola nelle le rigide maglie del primo sistema - talvolta saldandole, talvolta penetrandole, talvolta ondeggiando tra di esse - così da trasformare l’architettura in un grande altorilievo della contemporaneità.
Esaminando questi progetti, così come la maggior parte degli altri, non dovrebbe essere ricercato un unico codice linguistico (un …ismo) o una singola opera di riferimento, in quanto la scelta operata sin dall’inizio consiste nell’evitare il revival del moderno, aprendosi a favore di un approccio più complesso: fare uso di metodi progettuali tesi a scandagliare spazi ancora inesplorati attraverso modalità compositive intercodice. Questo approccio non conduce a operare una ricerca progettuale in “opposizione”, che non appartiene né a un codice né a un altro (né al razionalismo, né all’espressionismo, ad esempio), ma in “riposizione”, una ricerca che va a sondare nuove possibilità di spazi linguistico-tipologici ancora inesplorati. Intessendo un dialogo tra codici contemporanei è possibile catturare molteplici potenzialità rimaste ancora inespresse e, tra queste, talvolta è possibile trovarne alcune di grande interesse sia sul piano espressivo sia su quello dei contenuti. Infatti le ricerche operate dalle avanguardie consistono proprio nel catturare significative potenzialità comunicative non ancora espresse, nascoste tra le parole e le frasi dell’architettura contemporanea.
In aggiunta, nel progetto del quartiere abitativo di Bergamo-Valtesse è anche rintracciabile una sperimentazione sulle potenzialità frattali della blurring architecture, basata su un’aggregazione metabolica di volumi abitativi che genera un pattern urbano ad alta porosità.
Tre progetti coevi riconducibili a un unico filone, con cui si ricerca l’articolazione linguistica tra due caratteri distinti, sono costituiti dai nuovi uffici per il Ministero della Difesa in via Marsala a Roma (1998), dalla Hardware & Software Tower (1998) e dal Centro Congressi Italia a Roma-Eur (1998). In essi il dialogo avviene tra una scorza basamentale, intesa quale atto fondativo dell’architettura, e una volumetria posta superiormente caratterizzata dall’uso di un linguaggio contemporaneo, che si articola con la prima.
Altri progetti, riconducibili alla ricerca di una fluidità che considera l’architettura primariamente come un atto scultoreo, sono il Memorial di Martin Luther King Jr. a Washington D.C. (2000), il Monumento al Terzo Millennio a Puerto Rico (2000), il Memorial del World Trade Center a New York (2003), i nuovi uffici dell’ALER a Varese (2003).
E’ poi rintracciabile il tema strutturale, presente nel progetto di tesi di laurea del Centro Sportivo nel Parco del Pineto a Roma (1978), in quello della Sede dell’IRFIS a Palermo (1979), nei Ponti pedonali per il Giubileo (1998), e della Scienza (2000), nonché nel progetto delle terrazze sul Tevere (2002).
Il tema degli spazi per il lavoro e la ricerca inseriti all’interno di edifici di archeologia industriale, è presente nei progetti del Centro Servizi Quintel a Ferentino (1993), nonché in quello della sede e dell’incubatore del BIC Lazio a Roma (2002).
L’architettura a scala urbana e/o territoriale è trattata in una lunga serie di progetti quali il Pineto a Roma (1978), l’area Standiana a Ravenna (1984), la città per 8.000 abitanti a Roma (1987), il parco e il museo nell’ex campo di concentramento di Fossoli (1989), Quale Periferia per Roma Capitale? (1990), Europan 2 a Firenze (1991), il Centro Ulugh Beg a Samarcanda (1991), Europan 3 a Quarrata (1993), il Borghetto Flaminio a Roma (1995), la Scalinata Ugo Bassi a Roma (1996), il Lungomare di Greenport a Long Island (1997), la trasformazione e il rinnovo urbano del quartiere San Lorenzo a Roma (2000), la chiusura della cintura ferroviaria di Roma (2001), una nuova piazza per Arezzo (2002), il parco urbano di Santarcangelo (2002), lo Stadio del calcio tra le colline senesi (2004).
 

Ruggero Lenci
Differently from the architects that completed their studies in the '60s, the ones belonging to the following decade, with only some rare exceptions, did not still venture in the narration of their architectural education, a useful attempt to develop a better consciousness of how the events of a period - marked by the consolidation of the spatial conquests, by the years of terrorism in Italy, and by the advent of post-modernism - have left their traces on a quarter of a century of architectural design and research. I believe that these types of narration could be useful to trace an architectural vision comparable to the ones belonging to who lived the 1968 protest movement. The following attempt, therefore, is intended to establish a continuity that can reveal assonances and divergences with the thoughts of the protagonists of the preceding decade, and that could represent a bridge for the future ones.
As already mentioned, when I entered the School of Architecture of Rome in 1973, the new spirit of the ‘60s had already swept away all the past traditions, leaving a more free school where there was not any longer the need to contest old fashion professors ideas. Our architectural studies and designs were based on learning from Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Alvar Aalto, Louis Kahn, Ludwig Mies van der Rohe, Giuseppe Terragni, Adalberto Libera, Luigi Figini and Gino Pollini, and then, Kenzo Tange, I.M. Pei, Oswald Mathias Ungers, the Five Architects. I remember that my architectural design professors Gianfranco Moneta, Francesco Berarducci, Alfredo Lambertucci, Claudio Dall’Olio, and their assistants, were also very much interested in the ideas emerging from the vanguards of the period, such as the informalism of Reima Pietila and John Johansen, the metabolic approach to housing design of Moshe Safdie and Kisho Kurokawa, the neo-espressionist approach of Ralph Erskine, the emerging hi-tech designs of Frei Otto, Renzo Piano, Richard Rogers, Norman Foster and Peter Rice.
Whatsoever was the interest, the general trend in the design classes at that time, was to insert in a rational composition at least an unempirical element, for instance, a curvilinear wall or an alignment of pillars barely inclined. This gesture was enough to transform a straight and rig­or­ous design in a more dynamic and actual one. The whole was to be done with a great sense of measure, without overdoing or trespassing in the chaos of the crazy lines that, ready to explode, in a near future will character­ize the projects of the deconstructivist vanguard.
After the '60s, the following years in the Schools of Architecture in Italy were distinguished by a moderate approach, to be used especially when designing in the centers of the old cities. And it was not considered the fact that in the center of Paris the construction of the Beaubourg was taking place. In some cases the professors and their assistants were very busy to moderate the experimental exuberance of their students, constraining them to repeat several times the same square-like shapes, accepting that the boxes could be only disturbed by minimal variations. Differently, other professors used to ask for experimentation. Some, as in the case of Franco Purini, excelled in showing the fractal and structuralist face of the architectural design where at the various dimensional scales it is possible to perceive parts of the whole, parts of its DNA. Others, instead, pervaded by more phenomenological tendencies, sustained that every new design represents a renewed challenge and an opportunity that asks for a complete new conceptual and linguistic resetting. The latter believed that even from very different and experimental projects it was possible to track down the constant elements of a freed work, that is the intimate structure of a research liberated from the burden of an architectural catechesis otherwise too heavily based on rigid and doctrinal commandments. Once these elements were distinguished, the same could be enabled to freely make their appearance in the next designs, so tying different projects to a solid unitary theoretical vision, achieved without recurring to the use of easy and mere repetitive mechanisms.
The Italian phrase specifico architettonico (specifically belonging to architecture) and the word azzeramento (resetting) were some of the conceptual keywords of the period. Most professors agreed on the fact that every new project should have represented a substantial zero-resetting of the previous personal one. Both those who operated in accordance with the more dogmatic ideas of the first group, and those who didn’t renounce to the unconventional need for a metamorphic experimentation of the second, believed that every next project should have been elaborated starting from substantially new basis.
But not everybody gave to azzeramento the same meaning. The first group believed it meant only the placement of minimal variations to a basic personal linguistic theme, while for the other group it represented the beginning of a project from a radically reset conception. Therefore, the Roman School and its followers (that goes from the period in between the two wars to all the years ‘70s) was delimited by these two positions: on one side, the fractal reiteration of a geometrical but linear topological approach belonging to the Euclidean space; and, on the other, the search for an often metamorphic – from which derives the name of the group Metamorph – architecture that tries not to repeat the same shapes, a dodecaphonic, still topological and fractal approach which often takes place in the Rienmann curved space.
All the above was not completely clear yet in those years in the School of Architecture of Rome, in spite many students and professors were trying to do their best to understand the fast changing scenario. Bruno Zevi, in his usually crowded course of History of Contemporary Architecture used to alternate sharp sentences to long pauses of reflection. This approach stimulated the students to intervene in the architectural debate with innovative ideas. In particular, in one of his lessons he exhorted us to contrive innovative ways to add the fourth dimension to the space of the architectural representation. In this way he was anticipating at least of a decade the virtual reality and the animations. Another very intense lesson was the one that Ludovico Quaroni – a personality opposed to the one of Zevi – made during the design critic of a student’s project whose building was not contextual to the ancient urban setting in which it was planned. Quaroni held a speech on the beauty of the decrepit plastered walls of the Spanish districts houses of Naples, that he defined as “sgarrupati” (decrepit, lacerated) giving to this word a value greater than the one emerging, without the patina of time, from the canvases of the contemporary artist Alberto Burri. I remember, in addition, the admirable lessons of Sergio Musmeci about Bridges and Large Structures, during which he used to expose his ideas regarding the concept of structural minimalism, explaining that within the shape of a structure it is already encrypted all its potentiality. He used to conclude that, if the invention of intelligent spaces is a prerogative for architects, discovering the forms of structural minimalism is a must for engineers, as it emerges from his design of the suspended bridge over the Straits of Messina. Then, I remember the lessons of Statics of Mario Desideri and his didactic rigor; the ones of Buildings Techniques of Antonio Michetti and his proverbial communicative ability, or the ones of Pier Maria Lugli when in his Urban Design course used to exhort the timorous students to begin the design activity saying: “an architect that is seated in front of a white sheet of paper with a pencil in his hand is like a tailor facing a new piece of fabric ready to start cutting it from one edge with scissors. At the end, it doesn’t really matter from which edge he will start to cut it but the dress he makes”.
Together with Lugli I chose the theme of my graduation thesis, that concerned the design of the Pineto Park in Rome. It was both an architectural and an urban design project, with Claudio Dall’Olio as tutor for the architectural part. The large project for the Pineto Park and of its sport facilities was not a mere academic exercise but a real urban need, born after a direct experience with the neighborhood committee "Valle Aurelia" with which I was elaborating an urban design that, besides becoming a thesis, contributed to obtain from the Municipality of Rome the change in the land use of its 248 hectares (almost 600 acres) from mostly-ready-to-build areas to "N zone", public park with sport and service amenities.
With this thesis, evaluated magna cum laude, my student career in Italy got to an end in 1978. It was published on the daily newspaper Paese Sera and on the Quaderni di Roma. It also won the first prize in a national competition for architectural design thesis dealing with sport facilities sponsored by the Italian Olympic National Committee, CONI. I learned about it in 1980 when I was in the United States studying for my Master of Architecture.
In the U.S., where I practiced architecture for two years and half after the Master (June 1980), I was introduced to the dimension of collaborative design in a period when the architectural drawings were still made by hand. In Atlanta I acknowledged in Nilda Valentin her being a clear spirit, a person of great generosity that helps others without reserve, besides her being a sublime partner in the journey through architecture and life. I cannot forget her being very close to me in May 1980 when the terrible terrorist outrage to my father took place by part of the group ‘Prima Linea’. I was touched. But  I do not forget either her many useful suggestions in work and in the every day life.
After collaborating to various projects in the Atlanta offices of Fabrap and Finch-Heery (Nilda in the office of Toombs, Amisano & Wells) and after our wedding in that city in 1981 we moved to Houston where I collaborated with Lockwood-Greene and Christopher Di Stefano (Nilda with Lockwood-Greene). Then we moved to Italy at the beginning of 1983. The U.S. period has represented a priceless experience for my growth as an architect and as a professor, and an opportunity to fully evaluate the merits of the collaborative approach to architectural design.
In Italy, where the social and economical crisis of those years brought the inflation to raise two digits, people was beginning to give attention to the concept of sustainabil­ity. The conference held by the Club of Rome in 1971 on the “the limits of (sustainable) development” which divulg­ed a M.I.T. research on the same topic, was followed by the United Nations Conference on the Human Environment held in Stockholm in 1972, by the United Nations Conference on Environment and Development, the Rio Earth Summit of 1992, and by the World Summit for Sustainable Development held in Johannesburg in 2002. These conferences started to play a central role in promoting an architectural and environmental design able to respond to the theme of sustainability: a development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs. (worldwide accepted definition from the Brundtland Report, 1983).
In the mid ‘80s, the use of the personal computer in the architectural design process brought a new concept of space-time expansion, making it possible the creation of virtually endless spaces, the reduction of the operating and transmission-data times and the use of very precise systems for drawing and processing data. Having been among the first architects in Rome to have made use of the CAD system, today we are plainly aware of how much in those years this revolutionary activity was considered little more than an experiment for temerarious pioneers. The question was and still is: can the technological rapid expansion be considered compatible with the concept of sustainability? Or it generates a surplus of, sometimes also hidden, unsustainable impacts for the environment? We know that wild technology produces these impacts, and they have to be observed, monitored and kept under control. But at the same time it should be recognized the growing number of advantages that the computer plays also in favor of architecture: expanded possibilities to better control and manipulate not only the working drawings and the design development stages – making it possible to achieve an higher degree of collaborative design, a discipline which is in constant expansion due to a large number of researches in universities worldwide – but also the preliminary one so increasing the overall design quality. Architects are continuously facing more and more complex constructions where the computer has became an indispensable tool to make analysis both in static and dynamic ways.
In dealing with the concept of sustainability in architec­ture during these years, special attention we have been giving to the design of the housing-unit. This type of design requires the development of a particular skill in the comprehension of the appropriate dimensional scale to be used in relation to the context and the particular environmental aspects, such as sun exposition, ventilation, topography, views, etc. During the design of a series of buildings belonging to this typology we experimented that the provision of low-rise apartment buildings (up to four floors) with ample private external spaces makes them a more sustainable housing project. On the other hand, in taller buildings it is advisable to create ample common spaces such as green areas and porticos on the ground floor, common spaces and terraces at intermediate levels, roof-gardens at their tops.
In both the Europan 1 designs, the prized entry for the 1989 competition and the final solution built in Favaro Veneto (Venice, 1997-2002) one of the objectives was to demonstrate the possibility to achieve sustainability also in a subsidized housing project. The same has been recently pursued designing two four-story buildings with dwellings provided of ample external spaces, either at ground level or as roof-terraces. A similar concept was proposed in the winning entry to the competition held in 2004 for forty dwellings to be built in Rome on an old soccer field located in the Carabinieri headquarters Salvo d’Acquisto in viale Tor di Quinto: private gardens for the ground floor apartments, roof-terraces for the upper ones. In the design of tall buildings, instead, besides the creation of common spaces on the ground floor areas, it is appropriate to elaborate a blurring architectural design idea by inserting in the volume the concept of superimposed villas, where it is possible to develop ample terraces and plenty of green areas. The above can be pursued following the Unité of Habitation or the Immeuble Villas ideas by Le Corbusier, the ones deriving from the '67 Montreal Habitat Expo by Moshe Safdie, or by other major examples, among which stand the works of Adele Naudé Santos and of Tengku Robert Hamzah with Ken Yeang. Looking for innovative ways to interpret the concept of architectural porosity, these last architects extend to innovative experimentation the spatial possibilities of the modernist rules of using a geometrically perpendicular and metabolic purism as the preferred forms to generate a social sustainable habitat. In so doing, their projects deal with a fundamental question in design: can new architectural visions reduce social conflicts by contributing to distribute the culture of living in a sustainable environment? The answers to this question could become the doing of many other experimentation useful to form the principles for an architectural culture of the next generations.
The selected architectural works designed in a period of over 25 years, up to 2005, have been presented chronologically in order to testify conceptual and communicative transformations and permanences that took place in over a quarter of a century, a period marked by the computer-revolution. This radical change in architectural design, made visible especially for a renewed expressive apparat­us, as it is well known, took place starting from the beginning of the '90s, conferring to the designs belonging to that period located “in-between”, a more complex identity if compared to the ones belonging to the previous or to the next ones. Consequently, in order to recognize in the following projects a consistent architectural research, it is necessary to overcome their fast epidermal reading, that could result appropriate only to testify the different techniques - traditional or computer aided - used during the years to represent them.
Some of the designs selected in the book contribute to the development of an architectural language that, with the objective of being compatible with the environment in which they are set - in many cases Mediterranean - in last analysis aims to be sustainable. These are: the Community and Sport Center in Botticino (1987), Europan 1 in Boulogne (1989), the Alexandrine Library, Egypt (1989), the housing units of Favaro Veneto (1997-2001), the housing district of Bergamo-Valtesse (1997), the Modern Art Museum in Bolzano (2001), the housing towers of Duxton Plain Park in Singapore (2001), the Town Hall of Santa Marinella (2004). These designs, in particular, represent a structurally-underlined rationalist system, a stave, that aims to become fluid and significant by means of an expressionist wrap that interweaves in between its rigid grid - sometimes joining it, sometimes penetrating it, sometimes rippling its parts - so transforming architecture in a one-to-one scale contemporary high-relief.
Examining these projects, as well as most of the others, it should not be looked for a single linguistic code (…ism) or for a single architectural reference, since the constant idea at their base is to avoid modern revival, in favor of a more complex approach: make use of design methods which fathom still unexplored spaces-in-between-linguistic-codes. The above approach doesn’t lead to a design research in-opposition, which doesn't belong neither to a linguistic code nor to another one (for example, neither to rationalism, nor to expressionism), but in re-position, a research that fathoms new possibilities in still-undiscov­ered-linguistic-typological-spaces. By interweaving a dialogue among contemporary codes it is possible to capture several still unexpressed potentialities and, among these, find those of greater interest, both from an expressive and a functional point of view. In fact the researches of the contemporary vanguards consist in capturing the mean­ingful communicative potentialities still remained unexpressed in between words and phrases of contemporary architecture.
In addition to the above, the design for the housing district in Bergamo deals with an experimentation on the fractal growth of a low-rise blurring architecture, based on a metabolic aggregation that makes use of living units articulated into space to generate a porous urban pattern.
Three designs belonging to the same period, in which it is possible to single out a unitary linguistic research based on the articulation of two distinct kinds of volumes (characters), are: the new office complex for the Ministry of Defence in via Marsala in Rome (1998), the Hardware & Software Tower (1998), and the Italia Congress Center in Rome-Eur (1998). In these projects a linguistic dialogue takes place among a basemental bark, intended as a founding act of architecture, and an upper volume, distinguished by a contemporary language that interweaves with the former.
Other projects, on the search for spatial fluidity, which considers architecture primarily as a sculptural action, are the Martin Luther King Jr. Memorial in Washington D.C. (2000), the Monument to the Third Millennium in Puerto Rico (2000), the Memorial of the World Trade Canter in New York City (2003), the new ALER Headquarters in Varese (2003).
The structural theme can be found in the design for a Sport Center in the Pineto Park in Rome (1978), the IRFIS headquarters in Palermo (1979), the pedestrian bridge for the Jubilee year in Rome (1998), the pedestrian bridge of the “Science” in Rome (2000), the terraces on the Tiber river in Rome (2002).
The themes of office spaces and research laboratories inside buildings belonging to industrial archaeology, can be found in the Quintel Services Center in Ferentino (1993) and in the headquarters and incubator of the BIC Lazio (Business Innovation Centre) in Rome (2002).
The theme of the urban and territorial scale of architectural design takes place in a series of projects like the Pineto Park in Rome (1978), the Standiana area in Ravenna (1984), the city for 8,000 inhabitants in Rome (1987), the Park and Museum in the ex nazi concentration camp of Fossoli (1989), the Urban proposals for the outskirts of Rome as a Capital City (1990), Europan 2 in Florence (1991), the Ulugh Beg Center in Samarkand (1991), Europan 3 in Quarrata (1993), Borghetto Flaminio in Rome (1995), Ugo Bassi Steps in Rome (1996), the waterfront of Greenport, Long Island (1997), the transformation and the urban renewal of the San Lorenzo district in Rome (2000), the completion of the railway belt of Rome (2001), the new Square for Arezzo (2002), the Urban Park of Santarcangelo (2002), the Soccer Stadium in the Siena country hills (2004).